Storie di Storia / 81. Due anni di conflitto in Sudan
Oltre 12 milioni di persone sono state costrette in Sudan a lasciare la propria casa e 4 milioni di civili hanno trovato rifugio nei paesi che si trovano al confine. Dal 15 aprile 2025 siamo entrati nel terzo anno di un terribile conflitto, che vede contrapposti due gruppi militari: le Forze armate sudanesi, capeggiate dal generale Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, e le Rapid Support Forces, un gruppo paramilitare controllato da Mohamed Hamdan Dagalo. Una guerra che evolve rapidamente e che sta causando migliaia di vittime, soprattutto civili. Un numero che è destinato a crescere se si considera che il Sudan è ormai un paese ad alto livello di insicurezza alimentare e da una situazione sanitaria molto precaria con un aumento considerevole di epidemie. Per Storie di Storia, il racconto di Chiara Zaccone, Capo Missione di COOPI-Cooperazione Internazionale in Sudan, una organizzazione umanitaria italiana fondata nel 1965, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario. In 60 anni ha realizzato più di 3.000 progetti in 70 Paesi del mondo, sostenendo 125 milioni di persone e impiegando 5400 operatori espatriati e 68mila operatori locali. Oggi Coopi è presente in 33 nazioni di Africa, Medioriente, America Latina e Caraibi, nonché in Italia, con 239 progetti umanitari che raggiungono più di 7 milioni di persone. Buona lettura.
LA STORIA
Due anni di guerra in Sudan
Di Chiara Zaccone (Capo Missione di COOPI in Sudan)
Sono arrivata in Sudan il 7 gennaio 2024, a qualche mese dall’inizio del conflitto che ha colpito il Paese il 15 aprile 2023. Sono atterrata a Port Sudan con un volo gestito dalle Nazioni Unite, indossando il gilet di COOPI, l’organizzazione umanitaria italiana con cui lavoro dal 2020 e con cui attualmente svolgo ruolo di Capo Missione in Sudan, e con una valigia di 23 chili.
Trenta minuti mi separavano dal nuovo Aeroporto Internazionale del Sudan – quello di Khartoum dall’inizio del conflitto non è più stato accessibile – e la mia nuova casa in Sudan. La strada che conduce dall’aeroporto al centro città era deserta, costellata di strutture iniziate e mai terminate. Un palazzo ha attirato la mia attenzione più di altri: una struttura di una decina di piani, con vetrate rotte. È uno dei palazzi simbolo dell’inizio del conflitto e svetta sulla strada a ricordo di quel nefasto giorno. Da allora ci sono passata davanti varie volte e ogni volta, guardandolo, sento un brivido lungo la schiena.
Lo stesso sentimento di paura e sbigottimento che ho provato quando a luglio del 2024, mentre ero in strada per raggiungere uno dei campi profughi in cui COOPI interviene, ho visto un camion traboccante di qualcosa che non riuscivo bene a mettere a fuoco. Più il camion si avvicinava più mi rendevo conto che quelle forme che vedevo sporgere dal bordo erano gambe e braccia: erano donne e bambini accalcati uno sull’altro, stavano scappando dalla violenza del conflitto, che aveva da poco raggiunto lo Stato di Sennar, in cui loro si trovavano. Si stavano dirigendo proprio verso il campo profughi e, una volta arrivati, mi sono fermata a parlare con una di quelle donne, giovane, sola con tre figli. Mi ha raccontato che era la terza volta che scappava. Era originaria di Khartoum e, ad aprile 2023, era stata costretta a fuggire a Wad Madani e poi, una volta che anche Wad Madani era stata travolta dal conflitto, aveva deciso di riprendere in braccio i suoi figli e le sue due borse e cercare un luogo sicuro in Sennar. E, infine, era arrivata Gedaref. Le sue tappe di vita ripercorrono le tappe di questo conflitto, incerto e violento, che è esploso in maniera totalmente inaspettata per la popolazione sudanese, che racconta di essere stata colta completamente di sorpresa e impreparata. Un conflitto che si pensava sarebbe durato per un periodo breve e che, invece, si è rapidamente espanso, arrivando in ampie aree del Paese e generando uno scenario di violenza su ampia scala.
Il Sudan è un Paese da anni segnato da profonda instabilità e il conflitto scoppiato il 15 aprile 2023 ha causato una delle crisi umanitarie più gravi e purtroppo dimenticate al mondo.
Dallo scoppio della guerra in Sudan oltre 12 milioni di persone risultano sfollate e, tra queste, quasi 4 milioni hanno cercato rifugio oltre confine, in paesi come Egitto, Ciad e Sud Sudan, che già affrontano forti pressioni umanitarie. Attualmente, quasi un terzo della popolazione sudanese è sfollato e la metà di loro sono bambini.
Ad aggravare il quadro, si aggiungono la crisi alimentare, che colpisce 24 milioni di persone, e l’emergenza idrica: 270mila persone, inclusi 130mila bambini, hanno difficoltà a reperire acqua potabile. Anche i servizi di base sono compromessi: nelle zone più colpite dal conflitto solo il 25% delle strutture sanitarie è rimasto operativo, mentre la mancanza di acqua e le condizioni igieniche precarie stanno favorendo la diffusione di malattie come colera, dengue e malaria.
In due anni il conflitto ha causato quasi 29mila vittime, di cui 7.500 civili, e ha generato un’escalation drammatica di violenze contro i minori, con un aumento del 480% delle gravi violazioni sui bambini. Attualmente 17 milioni di bambini non hanno più accesso né alle scuole né ad sistema sanitario adeguato.
Il conflitto insiste su una situazione umanitaria già complessa. Il Sudan, anche prima dello scoppio del conflitto, era alle prese con una grave crisi umanitaria che vedeva 15,8 milioni di persone in condizioni di necessità di assistenza umanitaria.
COOPI è presente in Sudan dal 2004, dove da oltre vent’anni supporta la popolazione più vulnerabile. Inizialmente COOPI ha operato in Nord Darfur e poi, dal 2019, ha ampliato la propria presenza al Sudan orientale – Kassala e Gedaref – e alla capitale Khartoum.
Attraverso un approccio multisettoriale e integrato, nel corso degli anni COOPI ha migliorato l’accesso ai servizi di base, con interventi nell’ambito della distribuzione di tende e di beni non alimentari, e ha realizzato interventi di promozione della sicurezza alimentare e dei mezzi di sussistenza, con acqua, miglioramento dell’igiene e riduzione del rischio di disastri negli Stati del Nord Darfur, Kassala e Khartoum.
Da sempre impegnata al fianco della popolazione più vulnerabile, COOPI ha raggiunto più di 4 milioni di beneficiari grazie ai propri interventi, strutturati attorno alla comunità e alla sua resilienza.
A seguito dello scoppio della guerra civile nell’aprile 2023, COOPI è attivamente coinvolta nella risposta umanitaria di emergenza per la popolazione colpita dal conflitto e ha rafforzato la propria presenza umanitaria e intensificato le operazioni di supporto, sebbene adattandole al nuovo particolare contesto.
Nel 2024, anche nelle aree più duramente colpite dal conflitto, come Khartoum e Nord Darfur, gli operatori di COOPI sono rimasti a supportare la popolazione civile. Dall’inizio del conflitto, sono stati realizzati 10 progetti, raggiungendo quasi 150 mila persone, soprattutto sfollati e rifugiati, negli Stati del Nord Darfur, di Gedaref, di Khartoum, del Nord e del Fiume Nilo. In questo momento di emergenza, con una crisi alimentare gravissima e incremento di violenza su donne e bambini, COOPI ha rafforzato i propri interventi in modo da garantire accesso all’acqua potabile e ai beni di prima necessità, come contenitori per l’acqua, utensili da cucina e materiali per costruire ripari temporanei, che sono indispensabili per la vita nei campi profughi e nelle aree rimaste isolate dall’accesso al mercato, nonché spesso prive anche di elettricità, a causa dei ripetuti attacchi a infrastrutture chiave come centrali elettriche ed idriche.
In particolare, nel distretto di Mellit, in Nord Darfur, dove vivono 50mila persone sfollate ed è in corso una carestia, COOPI ha avviato diversi progetti emergenziali con l’obiettivo di garantire l’accesso a sementi agricole, acqua potabile, centri nutrizionali che monitorano e prendono in carico i bambini a rischio malnutrizione. Nonostante le difficoltà di accesso a Mellit, una zona fortemente isolata, COOPI, insieme ai suoi partner locali, ha continuato a fornire aiuti umanitari, raggiungendo sia le persone sfollate che le comunità ospitanti, duramente colpite dal conflitto e dalla carestia. Sin dall’inizio del conflitto lo staff di COOPI ha potuto sperimentare in prima persona le difficoltà legate ad un conflitto che cambia, le cui dinamiche restano imprevedibili, costringendo popolazione a scappare e agenzie umanitarie ad intervenire rapidamente in nuove aree.
Con il conflitto che non sembra volgere ad un’immediata fine, nonostante gli sforzi diplomatici susseguitesi da aprile 2023, diventa sempre più pressante il bisogno di fare di più di quanto non sia stato fatto finora. Di tutti i fondi per aiuti umanitari richiesti per il 2025, solo l’8% sono stati elargiti dalla comunità internazionale, percentuale assolutamente non proporzionata ai numeri sopra citati relativi alle persone in stato di bisogno umanitario.
È fondamentale continuare a parlare della situazione in Sudan, dare visibilità a questo Paese che oggi vive la più grave crisi umanitaria al mondo, ma che non ha abbastanza spazio nei media. È importante sensibilizzare la società civile, i governi e le istituzioni internazionali, affinché forniscano anche un supporto diplomatico per spingere le parti in conflitto a negoziare una tregua e aumentare lo spazio umanitario. Ma soprattutto, è essenziale incrementare le risorse necessarie per garantire assistenza immediata alle popolazioni colpite, con particolare attenzione alla protezione dei più vulnerabili – donne, bambini, persone malate – e assicurare l’accesso a cibo, acqua e servizi sanitari adeguati, sia per le comunità sfollate e di accoglienza in Sudan sia per i rifugiati sudanesi nei paesi confinanti, che vivono in condizioni di estrema vulnerabilità.
FILIPPO GRANDI
“A due anni dall’inizio del conflitto, il Sudan è uno scenario catastrofico che il mondo non può permettersi di ignorare
Di Filippo Grandi (Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati).
Il Sudan sta sanguinando. La sua popolazione soffre da troppo tempo.
I civili vengono bombardati ogni giorno. Milioni di persone sono bloccate tra il conflitto, l’abbandono e il dubbio di fuggire.
Due anni di guerra hanno creato quella che è ora la peggiore crisi umanitaria e di persone in fuga al mondo, intensificata dai tagli estremi all’assistenza internazionale. Negli ultimi giorni, ci sono stati attacchi brutali contro popolazioni vulnerabili nel Darfur settentrionale. Tra le vittime ci sono anche operatori umanitari. Si tratta di violazioni flagranti del diritto internazionale umanitario.
I sudanesi sono sotto assedio da ogni lato: guerra, abusi diffusi, umiliazioni, fame e altre avversità. E devono affrontare l’indifferenza del resto del mondo, che negli ultimi due anni ha dimostrato scarso interesse nel portare la pace in Sudan o portare soccorso ai suoi vicini.
Sono appena tornato dal Ciad, rifugio per quasi un milione di Sudanesi scappati da questa carneficina.
Le persone che ho incontrato al confine hanno condiviso storie di esperienze che nessuno dovrebbe essere costretto a vivere. Eppure, nonostante il dolore, mi hanno detto che non si sentono più in pericolo. Questa è la forza silenziosa dell’asilo.
Ma le gravi carenze di finanziamenti ci impediranno di alleviare le sofferenze. Le scorte di cibo e medicine stanno diminuendo. I rifugi sono già molto rudimentali. Non siamo in grado di spostare i rifugiati in zone più sicure.
Non sono solo i Sudanesi a essere diventati invisibili. Il mondo ha in gran parte voltato le spalle ai paesi e alle comunità che hanno accolto così tanti rifugiati. Il Ciad ha risorse scarse, ma ha permesso ai rifugiati di mettersi in salvo sul proprio territorio. Un numero enorme di persone (1,5 milioni) è fuggito in Egitto. Centinaia di migliaia di Sud-Sudanesi, un tempo rifugiati a loro volta, sono tornati per scappare dalla violenza in Sudan, solo per scoprire che la loro patria è di nuovo sull’orlo della guerra.
La stabilità dell’intera regione è minacciata. Non c’è solo un urgente bisogno di protezione umanitaria, ma anche di aiuti allo sviluppo, in modo che i governi ospitanti possano offrire ai rifugiati e alla loro stessa popolazione un futuro migliore. Hanno bisogno di investimenti nella pace, nella prosperità e nella stabilità, e ne hanno bisogno adesso.
Ma l’impatto di questa emergenza si fa sentire anche più lontano. I rifugiati sudanesi stanno arrivando in Uganda e attraversano la Libia, affrontando viaggi estremamente pericolosi, per raggiungere l’Europa. Questi rifugiati hanno bisogno e meritano di usufruire dei loro diritti fondamentali: sicurezza e dignità, istruzione e lavoro, salute e alloggio, pace. Molti hanno intrapreso questi viaggi in cerca di tali diritti e molti altri seguiranno l’esempio.
Dopo due anni di sofferenze incessanti, il mondo non può più permettersi di ignorare questa emergenza. È necessario compiere ogni sforzo per ristabilire la pace in Sudan. Il sostegno umanitario e di cooperazione allo sviluppo deve essere intensificato. Continuare a chiudere gli occhi avrà conseguenze catastrofiche.
15 aprile 2025
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SEGNALAZIONI
Libri: Sud Sudan. Il lungo e sofferto cammino verso pace, giustizia e dignità, di Daniele Moschetti, Prefazione di Papa Francesco, Dissensi, luglio 2017
A History of Modern Sudan, di Robert Collins, Cambridge University Press, maggio 2008
Guerre nere. Guida ai conflitti nell’Africa contemporanea, di Mario Giro, Guerini e Associati, 2020
Organizzazione: COOPI è un’organizzazione umanitaria italiana, fondata a Milano il 15 aprile 1965. Oggi è presente in 33 paesi di Africa, Medio Oriente, America Latina e Caraibi, con 239 progetti umanitari che raggiungono più di 7 milioni di persone. Dal 1965 ad oggi COOPI ha aiutato più di 125 milioni di persone, con più di 3.000 progetti in 74 Paesi, impiegando 5.400 operatori espatriati e più di 68.000 operatori locali. COOPI sogna un mondo senza povertà, capace di rispecchiare gli ideali di uguaglianza e giustizia, sviluppo sostenibile e coesione sociale grazie all’incontro e alla cooperazione tra tutte le persone.
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