Storie di Storia / 84. Israele vs Iran
L’ottantaquattresimo numero di Storie di Storia, newsletter di Repubblica, è dedicato alla storia del confronto tra lo Stato d’Israele e la Repubblica Islamica d’Iran, quanto mai attuale visto il conflitto di questi giorni, che potrebbe essere ricordato – in caso di tenuta del cessate il fuoco –come “la guerra dei 12 giorni”. Il racconto è di Gianluca Ansalone. Buona lettura.
LA STORIA
SCONTRO FINALE
Di Gianluca Ansalone (Analista strategico, docente di Geopolitica al Campus Biomedico di Roma – Università di Roma Tor Vergata).
Israele e Iran sono allo scontro finale.
Sono due paesi storicamente accerchiati. Il primo per essere l’unica democrazia in un’area governata da petrolio, gas e autocrazie.
Il secondo per essere il più grande paese sciita circondato da avversari sunniti, agguerriti e profondamente diversi, religiosamente e politicamente.
Per Israele, la costruzione della bomba atomica a Teheran è una minaccia esistenziale. Per l’Iran, Israele è il male assoluto, un intruso nella geografia e nella politica del medio oriente.
I due non potevano che farsi la guerra.
Anche se non è sempre stato così. Fino alla rivoluzione del 1979, l’Iran era un paese saldamente agganciato all’occidente. I rapporti tra lo Scià e le cancellerie europee e americana erano eccellenti, basati su interessi reciproci. L’occidente ricavava dall’Iran petrolio e gas in quantità e a buon prezzo. Teheran otteneva ascolto e appoggio nella competizione con vicini ingombranti come l’Arabia Saudita, l’Iraq o la Turchia.
Quando nel 1951 il primo ministro iraniano Mossadegh decise di nazionalizzare la Anglo – Iranian Oil company, la compagnia in mano agli inglesi che commercializzava il petrolio iraniano, Cia e MI6, il servizio segreto di Sua Maestà britannica, organizzarono un colpo di stato per spodestare il premier e restituire pieni poteri allo Scià.
Di tutto questo beneficiava soprattutto Israele, impegnato sin dalla sua nascita nel 1948 a garantire la propria esistenza e a respingere continui attacchi militari dai suoi vicini più prossimi: Egitto, Libano, Siria e Giordania.
Poter contare sulla non ostilità di un paese grande e importante come l’Iran era un contrappeso prezioso.
Tutto cambia per Israele e per l’occidente con la rivoluzione del 1979. Il 1 febbraio di quell’anno l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, esponente del clero sciita esiliato a Parigi, torna in patria e guida un’imponente rivolta di piazza che costringe lo Scià alla fuga. È l’inizio della repubblica islamica. Ed è la fine dei rapporti tra l’Iran e l’occidente.
Per Israele si trattò di mettere immediatamente sotto osservazione un regime imprevedibile, aggressivo e che fece dello stato ebraico il nemico ideale.
Israele venne descritto come il piccolo satana, l’emanazione diretta degli Stati uniti nella regione. Colpire Tel Aviv significava indebolire l’alleanza di ferro con Washington e i suoi interessi.
Per farlo, Teheran avvia da subito una precisa strategia basata su due azioni. La prima è la costruzione di una rete di alleati statali e non, in grado di proiettare i suoi interessi oltre i confini; la seconda è il ritorno all’energia atomica.
Già il ritorno perché il programma nucleare iraniano ha origine negli anni Cinquanta con il sostegno degli Stati uniti. Nel 1957, lo Scià Reza Pahlavi avvia lo sviluppo dell’energia nucleare civile grazie all’iniziativa americana “atoms for peace”, lanciata nel 1957 dal presidente Eisenhower nell’ambito della strategia di contenimento dell’Unione Sovietica durante la guerra fredda. Gli Stati Uniti forniscono all’Iran il primo reattore di ricerca e il combustibile nucleare, mentre negli anni settanta la Germania Ovest inizia la costruzione della centrale nucleare di Bushehr, nel sud del paese.
Il regime di Khomeini interrompe la cooperazione con l’occidente anche su questo aspetto e la guerra con l’Iraq (1980-1988) danneggia gravemente le infrastrutture nucleari. Il programma rimane fermo per oltre un decennio. La svolta, però, arriva nel 2002 quando gruppi di opposizione iraniani in esilio rivelano l’esistenza di due impianti nucleari segreti mai dichiarati: l’impianto di arricchimento di Natanz e il reattore ad acqua pesante di Arak.
Il regime degli ayatollah dimostrava sempre di più di resistere alle pressioni esterne e alle spinte sociali interne. Dimostrava di sopravvivere anche alla morte del suo fondatore e ispiratore, l’Ayatollah Khomeini, avvenuta nel 1989.
Un regime dotato della capacità di usare l’atomo anche per scopi militari è per Israele una prospettiva semplicemente inaccettabile.
Era stato Khomeini stesso a dar vita ad una forza speciale militare e di intelligence, nota come “guardiani della fede”, o pasdaran in farsi. E a creare contemporaneamente un gruppo scelto di ingegneri e scienziati nucleari, rientrati in patria da molte università straniere. L’Iran è da sempre un paese colto, giovane, ricco di talenti. I suoi scienziati e i suoi ingegneri sono apprezzati a livello mondiale. Il regime li mobilita per un grande progetto di rilancio nucleare destinato a cambiare gli equilibri in tutta l’area.
Mentre i pasdaran si occupano di creare e addestrare milizie tutto attorno ad Israele, supportando e armando Hamas nei territori palestinesi, Hezbollah in libano, il regime di Assad in Siria e gli Houthi nello Yemen, gli scienziati iraniani espandono la rete di centrali atomiche. L’energia viene usata innanzitutto per alimentare città e fabbriche, visto che l’Iran ha poche alternative all’esportazione pressoché totale delle sue enormi riserve di petrolio e gas. Con l’aiuto della Russia prima e della Cina poi, il paese dispone di tecnologie avanzate, che sfrutta per accelerare le proprie capacità.
Ma i servizi di intelligence occidentali sanno che dietro l’uso civile dell’energia c’è un disegno più ampio.
In una prima fase Israele ha usato ogni mezzo possibile per sabotare il programma nucleare iraniano. Una serie di misteriosi omicidi di scienziati nucleari a Teheran tra il 2010 e il 2015, ad esempio, vengono attribuiti al Mossad.
Un potente virus informatico, noto come Stuxnet, riesce a raggiungere due centrali atomiche iraniane e ne danneggia le centrifughe. Il lavoro degli scienziati è rallentato per mesi.
Gli Stati Uniti di Barack Obama capiscono però che la situazione può precipitare da un momento all’altro e decidono di prendere un’iniziativa forte e decisa. Nel 2015 Teheran firma con Usa, Unione europea, Cina e Russia un accordo storico. Teheran si impegna ad accogliere nel paese gli ispettori dell’agenzia dell’Onu per l’energia atomica. A quei tecnici spetterà il compito di valutare eventuali progressi nel processo di arricchimento dell’uranio nonché possibili deviazioni nell’impiego dell’energia atomica.
È una svolta epocale che sembra mettere ordine e rassicurare finalmente Israele.
Sarà Donald Trump, nel suo primo mandato di presidente, a cambiare completamente le carte in tavola. Nel 2018 ritira l’America dall’accordo e legittima indirettamente Teheran a riprendere le proprie sperimentazioni.
Da allora, sarà una spirale continua e inarrestabile.
L’Iran continua ad armare i suoi alleati nella regione, i quali continuano ad attaccare Israele. Quest’ultimo risponde con omicidi mirati di scienziati e tentativi di interrompere le catene di fornitura di uranio verso Teheran.
Fino alla data fatidica del 7 ottobre 2023.
Gli attacchi di Hamas in territorio israeliano cambiano irreversibilmente gli equilibri. Israele decide di rompere per sempre l’asse che lega Teheran alle sue propaggini. Hamas, Hezbollah e il regime di Bashar Al Assad in Siria vengono spazzati via.
Manca l’ultimo atto, manca la mente più pericolosa e sofisticata.
La società iraniana è in fermento da tempo. L’onda verde degli studenti universitari ha già fatto vacillare il regime più volte. Si associano i movimenti delle donne che protestano contro le vessazioni e gli omicidi dei guardiani della fede.
Israele approfitta di queste debolezze per bucare le difese iraniane. Il 31 luglio 2024 uccide a Teheran il leader di Hamas Haniyeeh e lo fa nella maniera più incredibile. Riesce ad infiltrare droni nel luogo più sorvegliato del paese e della capitale Teheran, il quartier generale dei pasdaran, dove Haniyeh è ospite in attesa di incontrare i vertici politici e religiosi.
Israele ha quindi infiltrato in anni, forse in più di un decennio, uomini, collaboratori, spie e mezzi per colpire il paese da dentro.
La decisione di un attacco diretto però non è una decisione semplice. L’Iran, pur fiaccato da decenni di sanzioni internazionali, rimane una potenza militare importante. Ha migliaia di missili balistici a media e lunga gittata. Ha droni, che vende in abbondanza a mosca per le sue operazioni militari in ucraina. Ha una marina militare strutturata che minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz, da dove transita il 70% del gas naturale diretto verso Cina ed Europa.
Colpire direttamente l’Iran significa scatenare un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili.
Israele attende solo il momento giusto per chiudere il cerchio e cancellare il progetto della mezzaluna sciita e le ambizioni atomiche di Teheran.
Mentre le cancellerie sono impegnate in un ennesimo, delicato round di negoziati tra Roma e l’Oman, l’agenzia dell’Onu per l’energia atomica pubblica il suo ultimo rapporto. È datato 12 giugno 2025. C’è una frase all’interno che da sola basterà a rompere gli indugi.
C’è scritto che “per la prima volta in vent’anni l’Iran è venuto meno ai propri obblighi, impedendo il pieno accesso degli ispettori ai siti nucleari e mancando di giustificare il rilevamento di tracce di uranio in siti non dichiarati”.
Tanto basta al governo e all’esercito israeliano per dare il via libera alle operazioni militari.
Tra i due paesi si scatena lo scontro finale. Uno scontro che prende di mira da un lato l’intera infrastruttura nucleare iraniana, i responsabili del programma atomico e la catena di comando di forze armate e intelligence. E che, dall’altro lato, vede una massiccia ritorsione iraniana con missili e droni sul suolo di Israele.
Ed è uno scontro destinato presto ad allargarsi, con la partecipazione attiva degli Stati Uniti. È il più classico degli effetti domino che potrà convincere le parti, tutte, al ritorno al tavolo negoziale o aprire un baratro quanto mai incerto e catastrofico.
SEGNALAZIONI
Libro: Storia dell’Iran. 1890-2020, di S. Farian Sabahi, Il Saggiatore, luglio 2020
L’Iran è uno dei paesi più affascinanti e complessi al mondo. Quale immagine riassume meglio la sua storia contemporanea? Le proteste di fine Ottocento per la vendita della concessione del tabacco a un cittadino inglese, che videro per la prima volta uniti il clero, i mercanti e le donne dell’harem reale? O forse il volto severo dell’ayatollah Khomeini di ritorno a Teheran dopo la rivoluzione del 1979 da cui ebbe origine la Repubblica islamica? La fotografia dei negoziatori internazionali che nel 2015 a Vienna annunciarono l’accordo sul nucleare che avrebbe dovuto portare alla rimozione delle sanzioni contro l’Iran? O i funerali del generale Soleimani, ucciso da un drone statunitense insieme a ogni tentativo di pacificazione tra i due paesi? Impossibile dirlo, come impossibile è descrivere un tappeto a partire da un solo filo. Farian Sabahi ci guida alla scoperta degli ultimi 130 anni di storia dell’Iran: da paese senza esercito né sistema amministrativo, come era la Persia sotto la dinastia dei Cagiari, al lancio in orbita da parte dei pasdaran del primo satellite fabbricato in Iran nell’aprile 2020; dal commercio dei pistacchi e del caviale a quello del petrolio; dall’occupazione degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale al precario equilibrio di patti e coalizioni negli anni della Guerra fredda; dal conflitto con l’Iraq di Saddam Hussein a quello con l’ISIS; fino alla difficile gestione della pandemia di Covid-19 sotto l’embargo di Trump. “Storia dell’Iran” è un’opera che attraversa l’economia e la religione, l’evoluzione della società e quella della cultura, la questione femminile e i diritti civili, il nazionalismo e i rapporti con l’estero. Il tentativo di raccontare un paese sfuggente, sospeso tra modernità e tradizione, tra Oriente e Occidente: un popolo indoeuropeo in mezzo agli arabi, un territorio sciita accerchiato da paesi sunniti. Un luogo misterioso, che esiste da millenni e continua con ostinazione a resistere, con tutte le sue contraddizioni.
Libro: Israele. Storia dello Stato, di Claudio Vercelli, Giuntina, agosto 2023 (Nuova edizione)
Israele è nel cuore e nelle menti dei contemporanei, suscitando passioni e identificazioni, simpatie ma anche rifiuti e dinieghi. Della sua storia, in Italia, si sa ben poco. Ancor meno sono conosciute le ragioni, gli eventi, i fatti che hanno portato alla nascita dello Stato degli ebrei durante un secolo, il Novecento, che ha visto mutare equilibri profondi. Il libro intende indagare sui fatti, sui personaggi, sulle storie che hanno generato lo Stato d’Israele, fino ad arrivare ai giorni nostri. Non un mero resoconto ma una narrazione viva, dal di dentro, delle premesse culturali, politiche e sociali che dalla seconda metà del XIX secolo originano il pensiero sionista e, in rapida successione, l’immigrazione in quelle terre nelle quali, nel 1948, sarebbe nato il nuovo Stato. Di cui viene poi raccontata, nell’intreccio tra cronaca e memoria, l’evoluzione storica, i mutamenti sociali ed economici, le trasformazioni culturali. Un’indagine su quel che è stato, una riflessione su quel che è, un’ipotesi su quel che potrà essere. Nella pluralità dei giudizi l’opera intende costituire anche un punto di vista ebraico su un modo di «essere ebrei» oggi, a volte vivendo in Israele, più spesso pensando a Israele.
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