Storie di storia / 87. Attacco all’Ambasciata iraniana di Londra

Il nuovo numero di Storie di Storia, newsletter di Repubblica, è dedicato a una vicenda accaduta a Londra nella fine del mese di aprile dell’80. È passato solo qualche giorno dal tentativo del governo statunitense di liberare numerosi ostaggi detenuti nell’ambasciata USA a Teheran. A 4400 km di distanza, nel quartiere di South Kensington a Londra, nella tarda mattinata del 30 aprile 1980, l’ambasciata iraniana viene assaltata da uomini armati. A Londra come a Teheran in molti pensano, erroneamente, a un qualche tipo di collegamento tra i due avvenimenti. Libri, articoli, documentari racconteranno successivamente, nel corso del mezzo secolo successivo, tutti i dettagli di uno degli avvenimenti più noti della storia moderna del Regno Unito, forse per la leggendaria impresa delle SAS (Special Air Squadrons), forze militari speciali britanniche, che riuscirono a salvare tutti gli ostaggi tranne due nell’operazione Nimrod. Buona lettura.

LA STORIA
Operazione Nimrod
L’ATTACCO ALL’AMBASCIATA IRANIANA DI LONDRA

Di Davide De Leo (Linguista, PhD)

Primo giorno, 30 aprile 1980

Ore 11 circa: sei uomini si incontrano sotto l’Albert Memorial a Kensington Gardens, a mezzo chilometro dall’ambasciata. Potrebbero essere semplici studenti o turisti mediorientali, portano tuta, giacche a vento e kefiah. Percorrono a piedi la distanza che li separa dal numero 16 di Princes Gate e si coprono il viso solo negli immediati pressi dell’ambasciata. Sui gradini che conducono alla porta d’ingresso, l’agente Trevor Lock del Gruppo di protezione diplomatica ha appena accettato una tazza di té dall’usciere iraniano, quando vede quel che crede essere uno studente iraniano che si avvicina alla porta semichiusa. Non appena mette un piede sul primo gradino, l’uomo estrae un mitra e apre il fuoco. La prima pallottola infrange il vetro di sicurezza e schegge di vetro raggiungono il volto di Lock. Questi indietreggia, proprio mentre il giovane arabo fa ancora una volta fuoco gridando qualcosa in arabo. La tazza del caffè e il piattino si infrangono sul pavimento. L’agente non ha il tempo di estrarre la pistola, che poi terrà nascosta per tutto l’assedio, ma riesce a premere il pulsante di emergenza collegato alla polizia. Dopo pochi minuti, decine di agenti circondano l’ambasciata.

A 220 km di distanza, nella caserma di Hereford, uomini delle SAS si stanno preparando per un’esercitazione che non avrà mai luogo. Ricevono infatti l’ordine di partire immediatamente per Londra in elicottero, per un’emergenza. Durante il viaggio ricevono un briefing. Intanto, un comitato di emergenza noto come COBRA, che riunisce vertici del governo, servizi segreti e militari, si riunisce a Whitehall.

All’interno dell’ambasciata, intanto, gli assalitori sono sorpresi dall’apprendere che non tutti gli ostaggi fanno parte del personale iraniano: tra i visitatori vi sono infatti due giornalisti della BBC recatisi in ambasciata in cerca di visto, uno studente, un bancario, due turisti pachistani, un giornalista nato in Siria e un commerciante di tappeti iraniano che era andato a South Kensington in visita al medico dell’ambasciata. In tutto, compreso il personale dell’ambasciata, 26 persone. Gli assalitori perquisiscono tutti, ma lo fanno con poca cura e non trovano l’arma dell’agente Lock.

In quel momento nessuno a Londra, al di fuori dell’Ambasciata, sa cosa vogliano gli assalitori. Solo qualche ora dopo dall’interno dell’ambasciata viene emesso un comunicato in cui si parla di una regione iraniana, da loro detta “Arabistan”, per la quale il gruppo di assalitori, tutti provenienti dalla regione arabofona del Khuzestan, chiede l’autonomia. Per il rilascio degli ostaggi si esige anche la liberazione di 91 prigionieri detenuti in Iran. Solo Teheran può ottemperare a queste domande, ma il governo degli ayatollah non ne ha alcuna intenzione. Le richieste sembrano molto ingenue: è inconcepibile che il governo britannico faccia pressione sul governo di Teheran, con il quale ha rapporti molto tesi. Il Primo ministro britannico, Margaret Thatcher, inoltre, ha annunciato sin dall’inizio del suo mandato l’intransigenza con i terroristi. È proprio questo il concetto che indirizza COBRA: “non c’è alcuna possibilità che escano liberi dall’ambasciata”. Thatcher dice alle SAS di intervenire immediatamente in caso di esecuzione di ostaggi.

Poco prima della mezzanotte le SAS, arrivate da Hereford, entrano nella caserma di Regent’s Park, a 5 km dall’ambasciata. L’operazione Nimrod sta per iniziare.

Secondo giorno, 1° maggio 1980

Quando si svegliano, terroristi e ostaggi apprendono che il Ministro degli esteri iraniano esclude qualsiasi trattativa con gli assalitori. “Credo che si pentirà della sua affermazione. Dopo la scadenza dell’ultimatum uccideremo tutti gli ostaggi” dice un terrorista che riesce a contattare la BBC. L’ultimatum è fissato per mezzogiorno. In mattinata, sorprendentemente, un ostaggio, uno dei giornalisti della BBC, viene liberato per problemi di salute. Dall’interno dell’ambulanza inviata a soccorrerlo, pur sofferente, inizia a raccontare alla polizia tutto quanto ha visto all’interno dell’ambasciata. La polizia comprende l’importanza della sua testimonianza e ferma l’ambulanza, fa uscire l’uomo, che solo qualche ora dopo andrà in ospedale per i controlli del caso.

Giunge l’ora dell’ultimatum, ma non viene ucciso nessuno.

Intanto, si prendono in considerazione diversi edifici per farne un “quartier generale” dell’operazione. Si scarta la Albert Hall, si ipotizza la Royal School of Needlework, al n. 25 di Princes Gate, ma non è adatta perché è rigorosamente vietato fumare per non danneggiare i preziosi e antichi tessuti esposti. Le SAS scelgono allora il Royal College of General Practitioners, l’associazione di categoria dei medici di base, ai numeri 14 e 15 di Princes Gate, accanto all’ambasciata, il punto di partenza per lanciare un blitz nel caso in cui gli assalitori inizino a uccidere gli ostaggi. Parte del lavoro di intelligence si concentra sull’ascolto di quanto avviene all’interno dell’ambasciata. Dalla sede occupata dai soldati, si cerca di inserire microspie all’interno del muro perimetrale che separa gli edifici, spesso un metro scarso. L’operazione comporta la perforazione di granito e mattoni vittoriani. Per minimizzare il rischio di essere scoperti, la strategia adottata è duplice: fare meno rumore possibile nel forare il muro e più rumore possibile “attorno” all’operazione. Se da un lato si utilizza un trapano a mano, azionato il più lentamente possibile, dall’altra COBRA chiede ad alcune linee aeree di volare il più basso possibile nella discesa verso Heathrow. Oltre a ciò, si improvvisano lavori stradali, azionando il più possibile martelli pneumatici attorno all’ambasciata.

Terzo giorno, 2 maggio 1980

La polizia consegna un telefono di campo agli assalitori, da allora unico modo per comunicare con l’esterno (basta contatti con i giornalisti, quindi). Il telefono viene dotato di cimice. Inoltre, ai terroristi viene consegnato del cibo, che è anche un modo per scattare foto di nascosto e acquisire impronte digitali. Dopo un riscontro con l’ufficio visti del Consolato britannico a Baghdad, si riesce a identificare i sei assalitori. L’intelligence britannica cerca di ricostruire i movimenti del gruppo nei giorni precedenti l’attacco: si sono dedicati allo shopping, andando da Harrods e in altri negozi di lusso, sicuri di tornare a casa. Oltre agli acquisti, i sei hanno frequentato diversi night club. Si scopre anche che c’è un settimo uomo, l’orchestratore dell’operazione, Sami Mohammad Ali, che ha già preso un aereo per Baghdad mentre gli altri sei attaccavano l’ambasciata. I sei del gruppo di assalto sembrano essere stati abbandonati dal capo e dal regime iracheno. Non fanatici, ma piuttosto idioti mandati a morire. Towfiq Ibrahim al-Rashidi, il leader, è di famiglia benestante. Ha studiato all’Università di Teheran ed è stato arrestato e picchiato con una barra di metallo dalla Savak, la polizia segreta dello scià; ne porta ancora le cicatrici sulla schiena. La Repubblica Islamica soffoca l’irredentismo arabo nel Khuzestan, che ritiene un pericolo per la rivoluzione e testa di ponte del governo di Saddam Hussein. Il fratello di Towfiq, Naji, viene catturato e giustiziato. Towfiq scappa in Iraq, dove viene scelto dalla Mukhabarat, l’intelligence irachena, come recluta ideale per svolgere operazioni speciali all’estero.

L’assedio dell’ambasciata londinese è in effetti completamente pianificata e organizzata dagli agenti segreti di Saddam Hussein. Il 5 aprile, questi aveva minacciato una guerra tra gli “arabi e i persiani”, additando Khomeini come uno “scià col turbante”. La Guerra tra Teheran e Baghdad è imminente, l’invasione dell’Iran avverrà il 22 settembre 1980, quattro mesi e mezzo dopo.

Gli assalitori sono stati brevemente addestrati all’utilizzo di armi in un campo alla periferia di Baghdad. Ognuno ha ricevuto £700 in contanti, nonché mitra, pistole semi-automatiche e granate trasportati nel Regno Unito nella valigia diplomatica dell’ambasciata irachena. Se arrestati, non devono rivelare la propria provenienza, ma fingere di venire da Teheran o dal Libano.

Quarto giorno, 3 maggio 1980

Mustapha Karkouti, un elegante giornalista siriano residente a Londra, è l’unico tra gli ostaggi a parlare arabo, inglese e un po’ di farsi. Capisce subito che i sei assalitori sono principianti, lanciatisi in un’impresa ben più grande di loro. Insieme agli altri ostaggi, cerca di convincerli ad arrendersi. “Se volete pubblicità, una resa onorevole aiuterà la vostra causa”, è il suggerimento: “chiamate i giornalisti, annunciate la resa in diretta e consegnate le armi”.

Il consiglio sembra accettato dagli assalitori, che chiedono che la BBC trasmetta un loro comunicato sull’Arabistan. La polizia approva e viene fissata la trasmissione per le 21. All’ora stabilita, effettivamente la BBC trasmette il comunicato letto da uno speaker. Gli ostaggi cominciano a esultare e a festeggiare, sicuri della liberazione imminente, e così fanno gli assalitori che li raggiungono. La polizia porta del cibo da asporto e, per la prima volta dopo quattro giorni, assalitori e ostaggi mangiano insieme.

Quinto giorno, 4 maggio 1980

Il quinto giorno del sequestro comincia con ottimismo. Il principale negoziatore della polizia, Max Vernon, parla con gli assalitori e chiede loro di consegnarsi. “Non avete fatto del male a nessuno, non avete ucciso nessuno, consegnatevi. Non potete passare il resto della vita lì dentro”. La sensazione è che il gruppo degli assalitori cominci ad accettare questa soluzione come la migliore possibile. All’interno dell’ambasciata, sull’onda dell’entusiasmo, un assalitore scrive con un pennarello slogan contro la rivoluzione. “Abbasso il nuovo Scià”, scrive in arabo, un insulto pesante per i rivoluzionari iraniani. Osserva la scena, furioso, uno degli ostaggi, l’addetto stampa dell’ambasciata, che inizia a insultare i terroristi. Questi minacciano di ucciderlo. L’addetto stampa allora si sbottona la camicia e si dice pronto a morire: “sparatemi pure!”.

Sesto giorno, 5 maggio 1980

L’atmosfera è cambiata. Gli assalitori chiedono che tre ambasciatori arabi vadano in ambasciata e procurino loro un lasciapassare per partire in sicurezza. Questa richiesta si rivela impossibile da soddisfare. In una telefonata di fuoco con il negoziatore, un terrorista insulta gli ambasciatori e accusa la polizia di bloccare l’iniziativa diplomatica, dicendo che se la richiesta non viene esaudita, il primo ostaggio sarà ucciso alle 18.25. La situazione non si sblocca e un ostaggio viene ucciso con due colpi alla testa e uno al torace. Il suo corpo viene gettato sulle scale al di fuori della porta d’ingresso. La linea rossa è stata oltrepassata. In una telefonata successiva all’uccisione dell’ostaggio, un terrorista minaccia di uccidere un ostaggio ogni 45 minuti se non verrà data loro la possibilità di lasciare il Paese in aereo. Alle 19.07 il controllo delle operazioni passa da Scotland Yard alle SAS, che si preparano all’assalto. Per confondere gli assalitori, un poliziotto dice ai terroristi che la trattativa è stata accettata, che l’ambasciatore iracheno sta arrivano all’ambasciata e che un bus li porterà ben presto all’aeroporto. Le SAS si schierano vicino ogni ingresso dell’ambasciata, sul tetto, fuori dalla porta posteriore e dalle finestre. “Sento dei movimenti sospetti”, dice un terrorista al telefono a un poliziotto che lo rassicura: “non c’è nessun movimento sospetto”. “Aspetta, vado a controllare”. Appena pronunciata questa frase e messa giù la cornetta su una sedia, le SAS fanno detonare delle granate per aprire le finestre ed entrano nei locali. Trevor, il poliziotto all’interno dell’ambasciata, si getta su un terrorista che è davanti a lui e lo scaraventa per terra. Per la prima volta, dopo sei giorni, estrae la pistola e gliela punta alla testa. Ne segue una colluttazione, il terrorista si divincola e cerca di prendere la sua arma. In quel momento un soldato entra nella stanza e grida: “Trevor, scansati” (ha, come tutti gli altri soldati, esaminato più volte le foto di tutti i presenti in ambasciata e riconosce l’agente) e uccide con numerosi colpi l’assalitore. Un altro viene ucciso poco dopo. I terroristi uccidono un ostaggio e ne feriscono un altro che, pur con sei pallottole in corpo, rimane cosciente e sopravvive. A quel punto, si nota fumo proveniente dall’interno dell’ambasciata: le granate hanno fatto scoppiare un incendio. Oltre al fumo, si vede una bandiera bianca sventolare dalla finestra; gli assalitori – come dichiarato dagli ostaggi – depositano le armi in terra e mettono le mani dietro la testa, ma le SAS uccidono lo stesso due assalitori: è la parte più controversa dell’operazione NIMROD. L’inchiesta successiva si pronuncerà a favore dei soldati, che hanno usato “forza ragionevole”. Il coroner scrive di “omicidio giustificabile”.

Le SAS gridano ripetutamente agli ostaggi di scendere al pian terreno e li spintonano giù dalle scale. Uno dopo l’altro corrono verso il basso, finché un ostaggio, indicando qualcuno, grida: “è un terrorista, è un terrorista!”. L’uomo estrae una granata e sta per farla esplodere. Il fuoco di tre SAS lo uccide istantaneamente, senza preavviso.

Il blitz per la liberazione degli ostaggi dura 11 minuti. L’ambasciata è in fiamme, tutti gli ostaggi sono portati fuori e ammanettati, faccia per terra. Tra questi, l’ultimo terrorista in vita, riconosciuto dagli ostaggi.

Le SAS tornano nella caserma di Regent Street, per un debriefing e qualche birra. A un certo punto arriva il Primo Ministro Thatcher con suo marito e altri leader politici. L’atmosfera è di grande euforia. In un grande salone con un televisore vi sono quaranta SAS. Il marito di Margaret Thatcher dice a un soldato, sorridendo: “Avete lasciato in vita uno dei bastardi!”. In televisione l’edizione straordinaria di un telegiornale mostra la scena dell’assalto ripresa da un palazzo vicino. Uno dei soldati ha la vista ostruita da una testa davanti a lui. “Togli quella cazzo di testa”, non accorgendosi che si tratta del Primo Ministro. “Oh, scusi”, dice Thatcher.

L’operazione dei sei assalitori, cinque dei quali uccisi nel blitz delle SAS, produce risultati molto scarsi: il destino degli arabi iraniani del Khuzestan non balzerà mai all’onore delle cronache. Pochi mesi dopo, Saddam Hussein lancia una disastrosa invasione dell’Iran. La Guerra durerà otto anni causando mezzo milione di morti.

SEGNALAZIONI

Libro: The Siege, di Ben Macintyre, Random House, 2024.
Attingendo a fonti inedite, interviste esclusive e testimonianze, lo storico di successo Ben Macintyre racconta per la prima volta la drammatica storia nella sua interezza, dagli anni e dalle settimane di preparativi da entrambe le parti, fino al resoconto minuto per minuto del salvataggio. The Siege è la straordinaria storia di ciò che accadde realmente in quei sei giorni fatidici, di un momento che cambiò per sempre il modo in cui la nazione considerava la SAS e sé stessa.

Film: 6 Days. Diretto da Toa Fraser, con Jamie Bell, Mark Strong, Abbie Cornish. Regno Unito, Nuova Zelanda, 2017
Il film si basa su degli eventi reali, accaduti nell’aprile del 1980. Sei uomini armati sono entrati nell’ambasciata iraniana al Princess Gate di Londra ed hanno preso in ostaggio due dozzine di persone. Sono seguiti sei giorni di stallo mentre un gruppo di soldati altamente addestrati del Special Air Service britannico si sono preparati a fare un raid nell’edificio. Gli ex membri del SAS che hanno partecipato all’assedio hanno lavorato come consulenti del film.

Podcast: The Siege, di Alexei Sayle, con Ben Macintyre, 2024).
Online su YouTube.
Alexei e Talal discutono con l’autore di best seller Ben Macintyre del suo nuovo libro The Siege.

Sito web: La ricostruzione della vicenda sul sito del National Army Museum
Il National Army Museum esplora la storia dell’esercito dalle sue origini ai giorni nostri. Il nostro obiettivo è coinvolgere e ispirare tutti con le storie dei nostri soldati e con il modo in cui il loro servizio plasma il nostro mondo.

Condividi questo contenuto: