Auto elettriche e rinnovabili perdono fiducia: il paradosso della transizione energetica
In un mondo segnato da crisi geopolitiche e tensioni sociali, la fiducia nei confronti delle aziende energetiche resta un bene prezioso e fragile. Lo conferma l’ultima edizione del Edelman Trust Barometer 2025, che dedica un’analisi approfondita al comparto energy e ai suoi sottosettori.
Il dato generale è quasi rassicurante: la fiducia globale nel settore energetico è stabile, attestandosi attorno a una fascia “neutrale-alta” (tra 60 e 100 punti su 100) in 17 Paesi sui 28 analizzati, due in più rispetto al 2024. Non ci sono variazioni significative anno su anno (+1 punto), segno di una resilienza che sorprende in un contesto di “crisi del risentimento” che penalizza fortemente istituzioni e governi.
Ma il dato aggregato nasconde fratture profonde. A colpire è innanzitutto la persistente disuguaglianza di fiducia tra fasce di reddito. Il divario resta di 10 punti: chi ha redditi alti mostra una fiducia stabile e persino in lieve crescita dal 2015 (+10 punti in dieci anni), mentre tra i redditi bassi il saldo è solo di +8, con valori sensibilmente inferiori.
Un altro elemento rivelatore riguarda la composizione interna del settore. Cleantech ed energie rinnovabili, tradizionalmente percepite come virtuose, vedono un calo di fiducia, mentre gas naturale e petrolio guadagnano terreno. Nel 2025, la fiducia nelle aziende del solare e dell’eolico è scesa rispettivamente a 74 e 70 punti su 100, con un calo rispetto ai picchi precedenti. Anche il comparto electric vehicles (EV) ha perso terreno, toccando i 61 punti di fiducia media (-3 punti sull’anno).
Al contrario, natural gas e oil hanno consolidato o migliorato leggermente i loro punteggi. Il gas naturale è stabile attorno a 66 punti, risultando l’unico comparto fossile ad avere un saldo positivo a lungo termine (+6 punti dal 2015). L’oil sale di un punto rispetto al 2024, portandosi a quota 58.
Questi movimenti vanno letti in un contesto di transizione energetica sempre più politicizzata e di crescente polarizzazione sociale. Il report Edelman evidenzia come i consumatori con un “alto senso di risentimento” tendano a ritenere insufficienti gli sforzi dell’industria sull’ambiente, chiedendo con più forza alle aziende di fare di più su climate change e accessibilità.
Il 51% degli intervistati a livello globale pensa che le imprese non stiano andando abbastanza lontano sul clima, una percentuale che sale oltre il 60% tra chi ha un alto livello di “grievance”, cioè l’indicatore che misura quanto le persone si sentono danneggiate o escluse dal sistema. In sostanza, chi ha alto livello di grievance tende a nutrire sfiducia verso istituzioni e aziende, a sentirsi penalizzato dalle disuguaglianze, ed è più incline a chiedere cambiamenti profondi o a sostenere forme di protesta anche dure. E per queste persone non si tratta solo di parole: il 46% dichiara che perderebbe fiducia in un’azienda che facesse marcia indietro sugli impegni ambientali, mentre il 42% sarebbe meno incline a comprarne i prodotti.
Il rapporto suggerisce anche cosa si aspettano le persone dalle aziende energetiche: creare posti di lavoro ben pagati nelle comunità locali (85% di consenso), formare e riqualificare i lavoratori per il futuro (84-85%), e affrontare i problemi sociali quando l’azienda stessa vi ha contribuito (70-73% a seconda del livello di risentimento percepito).
Infine, il Barometer lancia un messaggio chiaro: la fiducia resta un bene negoziabile, ma non eterno. La crisi di fiducia nei confronti delle istituzioni tradizionali – governi e media in primis – offre alle imprese un’occasione per colmare un vuoto. Ma lo fa in un terreno minato: la coerenza e la trasparenza diventano fattori determinanti per chi vuole mantenere il consenso. Per il settore energia, significa che la partita della transizione non si gioca solo sugli investimenti tecnologici o sui bilanci, ma anche – e soprattutto – sulla capacità di convincere le persone che quel cambiamento è reale, equo e condiviso.
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