Azimut, le ragioni dietro al crollo del titolo in Borsa
Benvenuti su Outlook, la newsletter di Repubblica che analizza l’economia, la finanza, i mercati internazionali.
Quello che so sui mercati finanziari e l’economia l’ho imparato lavorando per una delle principali Sim di Piazza Affari, le società che comprano e vendono i titoli in Borsa per i grandi investitori. L’ho portato con me quando sono diventato giornalista di Repubblica dove, tra le altre cose, mi sono occupato di inchieste e grandi scandali come quello di Parmalat, contribuendo a smascherare i suoi bilanci falsi. Ogni mercoledì parleremo di società quotate e no, di personaggi, istituzioni, di scandali e inchieste legate a questo mondo. Se volete scrivermi, la mia mail è w.galbiati@repubblica.it. Buona lettura
Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica
Il roboante crollo di Tim in Borsa iniziato settimana scorsa e continuato in questi giorni dopo l’annuncio del piano strategico, ha parzialmente offuscato un altro crollo, quello di Azimut, la società del risparmio gestito indipendente guidata da Pietro Giuliani. Nel giorno dell’annuncio dei suoi risultati per l’anno 2023, il titolo ha chiuso le contrattazioni con un crollo del 5%, un ribasso non ancora rientrato, ma confermato questa settimana nel prosieguo delle quotazioni.
La perfomance di Borsa. Il titolo è passato dai massimi dell’anno registrati mercoledì 6 marzo a 27,3 euro ai 23,79 toccati durante la seduta di venerdì scorso. Ed ora oscilla intorno ai 24 euro. La società era salita molto a partire dall’ottobre 2023 quando trattava sotto i 20 euro, perché aveva beneficiato in Borsa dei rumors che la vedevano come una possibile preda di Unicredit, la banca guidata da Andrea Orcel alla ricerca di un modo proficuo per impiegare la propria liquidità in eccesso.
I risultati trimestrali. Venerdì scorso in occasione dei dati annuali il titolo Azimut è crollato, nonostante abbia superato i target che l’azienda si era data. Va fatta però una premessa: quando vengono pubblicati i risultati di bilancio, gli investitori guardano più ai numeri dell’ultimo trimestre che a quelli dell’intero anno, perché sono i più recenti e danno una fotografia migliore di dove stia andando il gruppo. E il quarto trimestre di Azimut non ha convinto. Sono tre i motivi che hanno innescato le vendite.
Un utile inferiore alle attese. Sebbene l’utile netto del 2023 abbia superato l’obiettivo previsto, il risultato e del quarto trimestre è stato inferiore alle aspettative. Il gruppo ha chiuso con utili consolidati di 94 milioni di euro in crescita dagli 85,4 milioni dell’anno precedente, ma ben il 15% al di sotto del consensus degli analisti. La causa è stato un principio contabile, l’Ifrs 17, entrato in vigore a inizio 2023 e che ha richiesto un aggiustamento negativo di 11 milioni di euro sui conti. Ma anche se non ci fosse stata questa voce, il risultato sarebbe stato comunque del 4% inferiore alle attese.
Più utili da dismissioni. Al mercato non è piaciuto nemmeno che i risultati abbiano beneficiato soprattutto del realizzo su investimenti di proprietà passati da un saldo negativo per 15 milioni dello scorso anno a un incasso di 37 milioni di euro, quando invece le commissioni da performance sono scese da 50 milioni a 36 milioni. Per di più si tratta di commissioni realizzate in Paesi come Italia, Turchia e Brasile dove le tasse sono più elevate, un mix che ha portato il tax rate del gruppo a salire.
Il dividendo. La più grande delusione riguarda però il dividendo. Azimut ha confermato che pagherà il 22 maggio una cedola di 1,4 euro per azione, ma di questi solo un euro verrà pagato cash. Il resto verrà remunerato con oltre 2 milioni di azioni Azimut, calcolate in base al prezzo di chiusura del 6 marzo. Si tratta di un esborso complessivo tra azioni e titoli di 194 milioni, di cui intorno ai 140 milioni in contanti, per un pay-out, ovvero il rapporto tra dividendo e utili, del 50%. Un dato, quest’ultimo, che ha deluso perché si colloca nella fascia bassa rispetto al range tra il 50 e il 70% promesso da Azimut.
Ma perché Azimut ha voluto risparmiare sui cash? Uno dei motivi addotti è la necessità di rimborsare senza ricorrere a un rifinanziamento sul mercato il bond da 500 milioni di euro che scadrà il prossimo dicembre. Emettere un’altra obbligazione potrebbe essere molto costoso perché attualmente il tasso che Azimut paga sull’attuale bond è dell’1,625%, un tasso che difficilmente potrebbe strappare oggi dopo i rincari del costo del denaro voluti dalla Bce.
I conti in tasca. Il gruppo ha un po’ di liquidità in cassa, perché a fine dicembre vantava una posizione finanziaria netta positiva per 392 milioni di euro. Parte di questa verrà utilizzata a maggio per pagare il dividendo (meno di quanto si aspettava il mercato), mentre un’altra parte, tolta quella che servirà ad alimentare il business andrà a contribuire al rimborso del bond. Ma non basterà, tanto che Azimut ha lasciato intendere nella conference call con gli azionisti che ricorrerà a qualche dismissione, probabilmente all’estero, per racimolare quanto manca.
La fuga dei consulenti. Esiste tuttavia un altro motivo che ha spinto Azimut a non pagare l’intero dividendo in cash. Tra i principali azionisti del gruppo ci sono molti consulenti finanziari che lavorano nelle rete Azimut. Pagarli in azioni è una sorta di incoraggiamento a legarli all’azienda, anche perché il gruppo ha subito e sta subendo una forte emorragia nella sua rete commerciale. Nel Nord Est molti consulenti Azimut sono passati di recente alla concorrente Banca Patrimoni del gruppo Sella, dietro la promessa di maggiori compensi, e la stessa situazione si potrebbe verificare anche nel Nord Ovest.
I rimedi. Perdere i promotori significa perdere clienti e masse gestite e per correre ai ripari Azimut ha messo in programma una convention ad aprile in cui molto probabilmente, attingendo anche alla liquidità non distribuita per i dividendi, annuncerà qualche forma di incentivo per i propri consulenti, molti dei quali lo scorso anno avevano dovuto rinunciare con molto malcontento ai bonus per non aver raggiunto i target di raccolta.
La trasparenza sui numeri. Queste difficoltà emergono anche da una attenta lettura dei numeri, soprattutto quelli italiani. Nel documento in cui il gruppo spiega i risultati dell’anno, a pagina 8 le masse italiane sono date in crescita da 46,1 miliardi a 48,2 miliardi, un numero che non combacia con quanto riportato in altre parti della presentazione perché se come si dice a pagina 5 la performance media nel 2023 è stata del 5,43% che su 46,1 miliardi equivale a un incremento di 2,5 miliardi, e come si dice a pagina 7 la raccolta è stata di 1 miliardo, sommando questi due numeri (2,5 e 1 miliardo) ai precedenti 46,1 miliardi si arriva non a 48,2 ma a 49,6 miliardi. Viene da chiedersi dove stia l’errore, dove sono spariti 1,4 miliardi? Anche perché Azimut non fa più parte di Assoreti, l’associazione delle società per la consulenza agli investimenti che pubblica e certifica i dati di raccolta.
Gli investimenti illiquidi. C’è poi un altro numero che va guardato con attenzione e riguarda la percentuale di investimenti illiquidi nel portafoglio dei clienti Azimut. Si tratta di prodotti, come gli investimenti in fondi di private equity, che garantiscono ottimi rendimenti e buone provvigioni, e quindi ben visti da una società che vuole spingere sui ritorni.
Eppure si tratta di prodotti molto rischiosi perché sono poco liquidi e quindi difficilmente vendibili sul mercato in caso di necessità. Su questo settore Azimut ha spinto tantissimo tanto che oggi pesa per il 13% sul portafoglio complessivo quando in media questi prodotti presso gli altri competitor di solito non vanno oltre l’1 o il 2%.
In conclusione. Per far ripartire il titolo, serve dunque una maggiore chiarezza sui numeri di bilancio e un rafforzamento della rete, la vera forza propulsiva delle società che gestiscono il risparmio.
Condividi questo contenuto: