Carlo Altomonte “Con i dazi Usa Pil europeo giù di 30 miliardi. La Ue risponda tassando Big Tech”
Francesco Manacorda
MILANO — «Stiamo parlando di un effetto che probabilmente sarà di 20 o 30 miliardi di euro sulle esportazioni europee verso gli Usa, ossia uno 0,2-0,3% del Pil europeo. Di fronte a questo rischio a Bruxelles non serve negoziare offrendo concessioni, ma rispondere a Washington con contromisure adeguate». Carlo Altomonte, docente di Economia alla Bocconi, non minimizza la nuova stretta sui dazi di Donald Trump, con l’introduzione della regola della reciprocità che colpisce anche l’Europa, ma invita a considerare le dimensioni del rischio e a comportarsi di conseguenza. Senza cedimenti e senza farsi «fregare».
Le misure annunciate non sono ancora chiare, professore. Ma, per l’appunto, quale effetto potrebbero avere sull’Europa?
«Bisogna capire tre cose. La prima è ovviamente il livello del dazio che verrà imposto su ogni prodotto: se il 10%, il 15% o altro; la seconda è la cosiddetta elasticità della domanda al prezzo negli Stati Uniti: se per esempio arriva un dazio del 10% sulle importazioni di Parmigiano Reggiano i consumi negli Usa scenderanno proprio del 10%, compensando in pieno l’aumento del prezzo, o caleranno di meno? La terza questione è se i nostri produttori troveranno o meno mercati alternativi per le esportazioni: quel Parmigiano che non si vende più negli Usa si può vendere ad altri? Siccome non penso che l’elasticità sia totale e c’è la possibilità di trovare anche mercati alternativi, ritengo appunto che l’effetto sarebbe ridotto a 20-30 miliardi di Pil europeo in meno».
E di fronte a questo scenario l’Europa che alternative ha?
«Può ad esempio, come Trump pare chiedere, aumentare gli acquisti di gas americano. Ma mi chiedo se per evitare qualche decina di miliardi di danni convenga comprare gas a un prezzo più alto di quello che oggi c’è sul mercato e magari finire in questo modo per spendere più di quello che si perderebbe con i dazi. Trump potrebbe anche chiedere che le grandi piattaforme informatiche che operano in Europa non siano tassate, non siano soggette ai nostri controlli sulla privacy e quindi possano sfruttare serene i nostri dati. Anche qui, stento a vedere la convenienza: le piattaforme digitali Usa hanno in Europa un fatturato di circa 400 miliardi di euro e anche una tassazione minima del 10% renderebbe 40 miliardi. Insomma, l’Europa non deve farsi fregare dalla cortina fumogena dei dazi».
E quindi guerra commerciale sia? «La Commissione europea ha i poteri per rispondere ad ampio raggio nel caso in cui ci siano azioni coercitive da parte di uno Stato terzo, sia sul fronte di controdazi, sia continuando ad esempio a occuparsi delle multinazionali Usa. Anche perché se Bruxelles cominciasse a mollare sui principi, cioè non tutela la privacy degli europei, la libera concorrenza tra piattaforme digitali, la parità di tassazione delle aziende, perché qualcuno ci sta ricattando, allora si imboccherebbe una china gravissima che potrebbe in astratto anche significare al fine dell’Ue».
L’Italia, alla luce del rapporto privilegiato con Trump, potrebbe in teoria godere di trattamenti di favore. Un bene o un male?
«Da noi i settori più colpiti dai dazi sarebbero l’automotive, l’alimentare, la meccanica e la farmaceutica. Ottenere un trattamento più favorevole dagli Usa sarebbe ovviamente un vantaggio, ma non penso che in cambio si possa pensare che il nostro paese si defili da una risposta europea che deve essere comune. Anche perché lo impone la geografia: è proprio con i nostri vicini che continueremo a commerciare di più».
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