Consumi: la fedeltà? È (ancora) una cosa seria

“La fedeltà si costruisce, non si compra”. Firmato Ashwin Prasad, ceo UK di Tesco, una delle insegne che ha fatto della loyalty un cavallo di battaglia ben prima che diventasse un mantra del marketing. E oggi, a trent’anni dalla nascita della Clubcard – primo programma fedeltà nel grocery – dunnhumby firma un nuovo report che è insieme bilancio e mappa del futuro: Fidelizzare oggi per vincere domani. Verso la nuova era della fedeltà e della personalizzazione. Già dal titolo si intuisce che il tempo delle raccolte punti è scaduto. Non che i retailer se ne siano accorti da soli: il 90% di loro, dice lo studio, “sta investendo attivamente nell’evoluzione del proprio programma fedeltà”. Ma c’è un cortocircuito, e i clienti lo sentono. Nel Regno Unito, 4 su 5 sono iscritti ad almeno un loyalty program della gdo. Peccato che solo il 50% ritenga che questi influenzino davvero dove fare la spesa. “I programmi fedeltà non funzionano più. O almeno, non come una volta”, sintetizza Ben Snowman, Global Head of Loyalty and Personalisation di dunnhumby. Le ragioni? Le solite, ma più urgenti: sensibilità al prezzo, aspettative di servizio, bisogno di personalizzazione vera. E non solo: “iI clienti si aspettano che i brand riflettano i loro valori”, scrive il report, e “gli sconti da soli non bastano più”. Tradotto: se non mi conosci, non ti seguirò.

Dunnhumby ha messo sotto la lente otto grandi retailer tra Europa e Nord America, ascoltando i loro leader e affiancando i dati qualitativi ai risultati dei suoi studi Consumer Pulse e Retailer Preference Index. Ne esce un ritratto netto. La sfida più citata? La retention – trattenere i clienti in un contesto dove, come osserva Bryan Roberts (Igd), “gli shopper visitano anche sei insegne diverse ogni mese”. Altro che loyalty, qui siamo nella giungla della spesa opportunistica. Eppure, chi ci riesce vince. In Italia, i retailer con i migliori programmi fedeltà hanno registrato un Cagr (il tasso annuo composto di crescita) dell’8%, contro il 6% degli altri. Un gap non banale, che si accompagna a una maggiore soddisfazione del cliente. E attenzione: secondo il Retailer Preference Index 2024, la loyalty in Italia ha scalato le classifiche delle priorità. È arrivata al quarto posto tra i driver di scelta, superando addirittura temi storici come qualità e varietà dell’offerta. Segno che, anche nel nostro mercato, la relazione conta quanto (se non più di) prezzo e promozioni.

Il tutto in un contesto, quello italiano, dove la frammentazione della rete e l’eterogeneità delle insegne rendono ancora più complesso gestire programmi efficaci e coerenti. Ma proprio per questo, più differenzianti. Siro Descrovi, Customer Strategy Manager di dunnhumby, mette in guardia: “Quando tutti possono fare esattamente quello che fai tu, con la stessa rapidità e a un costo accessibile, come fai a distinguerti? La risposta è: con la visione. Con il coraggio di fare le domande giuste e non limitarsi a seguire la scia”. La tecnologia, insomma, livella il campo, ma è l’umano a far vincere la partita. “Il futuro della fedeltà è più umano, non meno”, si legge nel report. Serve la tecnologia, certo, ma servono anche team capaci di usarla con empatia, ascolto, creatività. E serve un commitment trasversale, che vada oltre il marketing per coinvolgere prodotto, operations, supply chain.

D’altra parte, anche i clienti non si accontentano più: il 23% degli europei, rivela il Consumer Pulse, ha acquistato un prodotto non pianificato grazie a un’offerta personalizzata. In UK e Francia, questo genere di comunicazione è addirittura più efficace della pubblicità televisiva e in Nord America, il 12% dei clienti grocery già usa l’intelligenza artificiale per fare la spesa. È questo il punto: IA e automazione stanno ridisegnando il perimetro della loyalty. “L’IA è rivoluzionaria in termini di scala e velocità”, dice Prasad. “Nessun team umano può analizzare 24 milioni di famiglie in tempo reale, ma l’IA sì. Ci aiuta a personalizzare, risparmiare, sperimentare”. Ma attenzione: l’algoritmo, da solo, non basta.

Il report si chiude con tre domande chiave, che ogni retailer dovrebbe farsi oggi stesso: come ci distingueremo quando la personalizzazione sarà la norma? Il nostro programma è costruito sulle esigenze dei clienti o stiamo solo copiando gli altri? E infine, siamo davvero pronti a mettere la fedeltà in cima all’agenda aziendale? La risposta, ancora una volta, è nei fatti. Se la fedeltà si costruisce come una relazione “attitudinale, emotiva, comportamentale”, ricorda Snowman, allora va alimentata ogni giorno; non con meccaniche a premio, ma con scelte di senso. Con premi davvero rilevanti, offerte flessibili, interazioni fluide e dati usati per servire, non per vendere.

Nel frattempo, i migliori guardano fuori dal perimetro della gdo. Sephora, About You, Starbucks: citati come fonti d’ispirazione da molti degli intervistati. A dimostrazione che la fedeltà, per sopravvivere, deve cambiare pelle. E forse… chissà, tornare a essere ciò che era all’inizio: un modo per dire grazie.

*direttore di Markup e Gdoweek

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