Finanza e competenze per accendere l’atomo
Il ritorno strategico del nucleare nasce da un’urgenza geopolitica: fornire energia stabile e pulita in un contesto di domanda elettrica in forte crescita, spinta da data center e intelligenza artificiale (IA). I dati dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (Iaea), l’organismo dell’Onu che vigila sull’uso pacifico dell’atomo, indicano 440 reattori a fissione in funzione in 32 Paesi – la sola tecnologia nucleare oggi disponibile su scala commerciale – e circa 60 impianti in costruzione. Parallelamente, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) segnala che oltre 40 Paesi stanno investendo o adottando politiche favorevoli al nucleare, con l’obiettivo di triplicare la capacità globale entro il 2050, in linea con gli scenari net zero. A conferma di questa tendenza, il World Economic Forum (Wef), in collaborazione con Accenture, censisce nel suo ultimo white paper più di 80 progetti di reattori modulari di piccola scala (Smr), da 50 a 300 MW, in sviluppo in 18 Paesi: impianti replicabili, costruiti in serie, capaci di ridurre tempi e costi e di integrarsi con reti ibride e sistemi per la produzione di idrogeno. Accanto a questi, sottolinea il documento, avanzano anche i reattori di nuova concezione (Amr), pensati per ridurre le scorie e aumentare l’efficienza complessiva del ciclo energetico.
Un salto tecnologico che, per concretizzarsi, dovrà poggiare su basi finanziarie solide: come evidenzia la Nea, l’Agenzia per l’energia nucleare dell’Ocse, secondo la quale fino a due terzi del prezzo dell’elettricità nucleare dipende dal costo del capitale. In sostanza, maggiore è il rischio percepito dagli investitori, più cresce il prezzo finale dell’energia. Da qui l’urgenza di modelli di finanziamento stabili – come contratti per differenza (CfD), regulated asset base (Rab) britannico o partnership pubblico-privato – in grado di ridurre il rischio e rendere bancabili i nuovi progetti. La stessa Agenzia mostra come il Lcoe (costo livellato dell’elettricità) possa raddoppiare se il costo del capitale passa dal 3 al 9 per cento, a conferma del peso decisivo delle condizioni finanziarie sulla competitività del nucleare. Si tratta di un passaggio decisivo anche per l’Ue, dove la tassonomia verde ha riaperto la porta agli investimenti, ma il settore resta frenato da tempi autorizzativi e incertezze regolatorie.
Il rilancio dell’atomo, però, è anche una questione di competenze e persone. Secondo un rapporto congiunto di Iaea e Nea, ogni gigawatt (GW) di capacità nucleare può generare in media circa 200mila “anni-uomo” di lavoro lungo l’intero ciclo di vita dell’impianto — tra occupazione diretta, indiretta e indotta. La fase di costruzione è la più intensiva, con 40-50mila posti diretti e fino a 120mila considerando l’indotto; durante l’esercizio, si contano 20-25mila occupati diretti e circa 60mila complessivi per la gestione e la manutenzione pluridecennale; infine, il decommissioning mobilita 5mila addetti diretti e fino a 20mila complessivi, tra smantellamento e gestione dei materiali.
Anche qui emerge una sfida cruciale: nei Paesi Ocse, oltre il 40% del personale qualificato andrà in pensione entro il 2035, mentre più di 30 Paesi devono ancora formare da zero le competenze tecniche necessarie. Iaea e Nea invitano quindi governi e utility a investire in programmi di formazione di lungo periodo puntando su discipline Stem, IA, digital twin e cybersecurity. Un impegno che diventa ancora più urgente in Europa, dove il dibattito sul ruolo del nucleare si è riacceso dopo il lancio della Nuclear Alliance, la coalizione promossa dalla Francia che riunisce quindici Paesi europei – tra cui Italia, Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Belgio – favorevoli all’utilizzo dell’atomo come fonte a basse emissioni. La Commissione europea stima che, per raggiungere la neutralità climatica al 2050, sarà necessario raddoppiare la produzione elettrica a basse emissioni, costruendo un mix più equilibrato tra rinnovabili e nucleare.
Intanto, dopo oltre trent’anni di assenza, in Italia il tema è tornato nell’agenda politica e industriale. Il governo ha istituito una Piattaforma nazionale per il nucleare sostenibile e firmato accordi con la Iaea e diversi partner europei. Il Paese può contare su competenze ingegneristiche solide e su una filiera tecnologica avanzata nei materiali superconduttori, nella meccanica di precisione e nell’automazione, sostenuta da una rete di ricerca coordinata da Enea e Rse. Questo patrimonio industriale coinvolge grandi gruppi come Enel, Ansaldo, Leonardo ed Edison, insieme a realtà manifatturiere come Walter Tosto e a una rete di Pmi specializzate, e rappresenta la base su cui costruire nuove professionalità in ambiti come compliance, risk management, digital engineering e IA. Le figure richieste sono altamente qualificate: ingegneri, tecnici digitali, esperti di regolazione e profili ibridi capaci di coniugare tecnologia e sostenibilità. Ora resta da sciogliere il nodo della governance: tempi, regole, consenso e investimenti.
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