Fmi, monito alla Ue: “Riveda contratto sociale”. Se l’Europa perde l’unica leadership che le resta

Sballottata nel mondo, insidiata dalla Cina, sbeffeggiata dagli Stati Uniti, incapace di affermare le proprie regole commerciali come di imporre la sua leadership nella politica ambientale, l’Europa ha, tuttavia, qualcosa che nessun altro ha, tanto meno le altre due potenze mondiali: un modello sociale che è, anzitutto, un parametro di civiltà. Scuola, sanità gratis, pensioni garantite per tutti: lo chiamano il contratto sociale europeo, la più grande conquista di questo dopoguerra.

Poche cose definiscono meglio l’Europa e i suoi principi. E, però, non fateci più troppo conto. Anzi, forse è il momento di chiedersi: “come può l’Europa pagare per cose che non si può permettere?” La domanda se la pone esplicitamente l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale sull’economia europea e la risposta è netta, quasi brutale nella sua indifferenza alla diplomazia: “ridiscutere il ruolo del governo è, in alcuni paesi, inevitabile, anche arrivando a ripensare l’arco di intervento dei servizi pubblici, potenzialmente impattando il contratto sociale”. Ovvero quel modello statale di cui sopra.

“La favola parla di te”

“La favola parla di te” dicevano i latini. L’Italia è sicuramente nel drappello di quegli “alcuni paesi” dove il welfare, secondo il Fmi, traballa. Il debito pubblico italiano è a livelli record e il debito è appunto la zavorra che impiomba l’Europa. Non solo, però, l’Italia, ma un po’ tutti. La quota del debito sul Pil, in media fra tutti i paesi, in Europa salirà, entro il prossimi 15 anni, al 130 per cento, il livello italiano di oggi (l’Fmi non si avventura a pronosticare quale possa essere il debito specificamente italiano nel 2040).

Debito pubblico, privato e globale. L’effetto dei Paesi simili. Mal comune (non) è mezzo gaudio

La spinta viene da una popolazione sempre più vecchia, un’energia sempre più cara, una difesa da garantire. In numeri, questo significa che la spesa pubblica, nei paesi dell’Europa avanzata, passerà dal tasso di crescita attuale – più 2,5 per cento del pil l’anno – al 4,5 per cento. Di fatto, una cifra pari a quella che i diversi paesi destinano in complesso all’istruzione pubblica.

Far fronte a questo aggravio aumentando le entrate non è, secondo il Fmi, politicamente sostenibile, in una situazione in cui le rivolte fiscali sono già dietro l’angolo. Ma l’accumulo di questo debito pesa anche sulle prospettive dell’economia: più debito vuol dire tassi più alti e meno investimenti. Gli economisti di Washington calcolano che un aumento del 10 per cento del debito si traduca in un rallentamento di mezzo punto della crescita, non poco in un’area in cui gli stessi economisti stimano che lo sviluppo non possa essere superiore, al massimo, al 2 per cento.

La spirale sempre più cupa

Più poveri, più indebitati, più poveri, in una spirale sempre più cupa. In realtà, fare i profeti di sventura è, un po’, la definizione professionale di chi lavora al Fmi e, dunque, gli allarmi vanno presi sul serio, ma non alla lettera. E’ presto per dire che la situazione è compromessa. La traiettoria del debito pubblico europeo è in salita, ma, nel complesso, non c’è stato uno sfondamento. In rapporto al Pil, il debito europeo è più basso di quanto accada sia negli Stati Uniti, che in Giappone: ancora 88 per cento, oggi.

L’economia si blocca. Pil a crescita zero. Il turismo non basta

E’ una media dei 27 paesi. In alcuni, come ben sappiamo, è molto più alto. Per l’Europa, tuttavia, parlare di media ha senso: esistono, infatti, meccanismi di condivisione dei rischi che consentono di ripartire, in linea di principio, l’impatto di una crisi e, dunque, evitare tassi di interesse fuori controllo.Inoltre, se il debito può rallentare la crescita, è vero anche il contrario. Più aumenta il Pil, più si alleggerisce il peso percentuale del debito. Il vero problema dell’Europa di questi anni è, infatti, una crescita economica asfittica, con i tre principali paesi (Germania, Francia, Italia) costantemente sull’orlo di una recessione.

Un rilancio della competitività dell’economia europea, accoppiato con un abbattimento delle barriere interne e un upgrade del mercato interno e di quello dei capitali – riconosce anche il Fmi – darebbe una spinta di parecchi punti al Pil europeo. Ove fosse sfuggito, è esattamente la ricetta già contenuta, in dettaglio, nel rapporto presentato da Mario Draghi. E le alternative diventano, così, spietatamente chiare: o meno welfare, o più tasse, o più Draghi.

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