Gozzi (Federacciai): “No a ritorsioni pericolose sui dazi, servono nervi saldi e nuovi mercati”
MILANO – “Nel 2023 la nostra industria manifatturiera ha fatturato circa 1.200 miliardi di euro e ha esportato prodotti per 650 miliardi. Questi numeri la dicono lunga su quanto è importante l’export non solo per l’industria italiana ma per il Paese intero. E visto che siamo i quarti esportatori al mondo, guerre commerciali e dazi sono quanto di peggio ci possa capitare”. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria con delega ad autonomia strategica europea, piano Mattei e competitività, ha già vissuto i dazi di Trump nel 2018, da imprenditore dell’acciaio. “Ma questa volta – dice – lo vedo più aggressivo”.
Il presidente della Repubblica avverte sui rischi, anche politici, del protezionismo. La posizione di Confindustria verso gli Usa, come quella del governo, appare molto prudente. Basterà?
“Siamo in terra incognita, anche perché Trump cambia idea una volta al giorno e utilizza la politica commerciale come strumento per raggiungere anche altri obiettivi geopolitici. Appena poche ore fa ha parlato di “flessibilità” nei dazi, bisogna capire che cosa significa”.
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Intanto, però, il 2 aprile scatteranno i dazi su un elenco di beni lungo 99 pagine…
“È il momento dei nervi saldi e della negoziazione, non delle ritorsioni. Non approvo chi sostiene che l’Ue dovrebbe muoversi subito con contromisure, perché – nonostante le difficoltà che ci sono e probabilmente ci saranno nel rapporto con gli Usa, in particolare con l’amministrazione Trump – si deve capire quale è il suo reale obiettivo. Tra l’altro, quando sento parlare di dazi europei sul bourbon o sulle Harley-Davidson mi viene da ridere, perché non avrebbero alcun effetto sull’economia Usa. E, anzi, se da parte americana si rispondesse con i dazi al 200% sui vini, già paventati, per noi italiani sarebbe un disastro”.
Ma trattare sarà sufficiente?
“Bisogna anche cercare di aprire nuovi mercati. C’è un parallelo con la difesa, dove bisogna sempre essere preparati per lo scenario peggiore; in campo commerciale significa lavorare per avere mercati alternativi a quello Usa, in Asia, in Medio Oriente e, in prospettiva, in Africa. L’Italia da questo punto di vista ha un ruolo assolutamente privilegiato”.
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Mattarella sostiene che “i mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace”.
“È verissimo che il libero scambio è l’ambiente migliore. Ma deve essere un libero scambio equo. Da tempo l’Europa è troppo debole nei confronti delle produzioni asiatiche. Ci sono interi settori, come l’automotive, in crisi anche grazie a regole che hanno costretto l’industria europea a rispettare determinati standard, specie ambientali, aprendo le porte ai prodotti di paesi che non rispettano assolutamente gli stessi standard. In questo senso sono d’accordo con Mario Draghi quando dice che i dazi ce li siamo messi da soli. Adesso, ad esempio, ci troviamo di fronte a una svolta giusta verso la creazione di una difesa europea. Ma come si investe in difesa se l’Ue, con il green deal, ha messo in profonda crisi la siderurgia da altoforno che è l’unica in grado di produrre l’acciaio per le carrozzerie delle auto?”.
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I dazi effettivi dipenderanno solo dalla capacità dell’Europa di trattare?
“No. I dazi rischiano di avere effetti inflattivi o di vera e propria mancanza di prodotti nell’economia Usa. Trump crede che servano anche a rilanciare la manifattura americana, ma la verità è che si tratta di una manifattura in grande crisi: mancano competenze, la formazione è insufficiente e i livelli di organizzazione sono più bassi che da noi. Un conto è dire che si potrebbe anche arrivare a una recessione; un altro è provocarla”.
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E il governo italiano che cosa dovrebbe fare?
“Speriamo che la premier Meloni possa giocare non una partita isolata, che non avrebbe senso, ma un ruolo di raccordo in una sorta di neoatlantismo. L’Europa non può pensare di farcela da sola e non vedo altri alleati possibili se non gli Usa, al di là di un singolo presidente. Serve cooperazione e l’Italia può puntare anche sul suo ruolo chiave nel Mediterraneo”.
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