I poteri sempre più “speciali” sugli acquisti dall’estero
Liberisti e mercatisti si facciano una ragione (e paiono farsela: tanto utili societari e quotazioni sono ai massimi). L’ultimo decennio ha stravolto i rapporti tra economia e politica, e il diritto articola la nuova postura protezionista-interventista degli Stati, in campo per tutelare “interessi strategici” sempre più ampi e mutevoli.
La corsa agli armamenti
Una “corsa agli armamenti giuridici” globale che ha fin troppi cartoni sullo sfondo: la sfida commerciale Usa-Cina e la pandemia, la guerra di Mosca con seguente crisi energetica e gli scontri a Gaza, l’alba dell’AI che rende “strategico” ogni uso della tecnologia anche vagamente intelligente. L’Italia vi si affanna molto, con la legge sul golden power in auge dal 2014 e i successivi rafforzamenti: sarà la natura nostrana di preda facile – anche nei confini della casa europea – o l’approccio muscolare della destra di governo; per quanto il predecessore Mario Draghi non fu certo spettatore durante il suo mandato.
Le parole della Relazione 2023 dei Servizi sulla politica di informazione per la sicurezza, presentata al governo a fine febbraio, sono anche più eloquenti dei fatti. «Sfide securitarie che travalicano ampiamente la cadenza annuale», «multiformi fenomeni di minaccia», «variegati fattori di instabilità globale che proiettano forte incertezza sul prossimo futuro». Tutto declinato nei vari ambiti. La difesa, che denota «rischi di marginalizzazione dalle possibili partnership che coinvolgano player nazionali». L’aerospazio, per presidiare «filiera e catena del valore del settore satellitare». Le infrastrutture tlc, dove «le possibili iniziative di operatori esteri coinvolti nella costituzione della rete unica (Tim, ndr) possono incidere sfavorevolmente sugli interessi nazionali». La siderurgia e l’auto, paventando «esternalità negative delle strategie di operatori internazionali attivi in Italia» e «possibili evoluzioni degli assetti proprietari dei primari attori nazionali» (Stellantis, partecipata da Exor che controlla Repubblica, ndr). Nei trasporti e loro snodi, in cui si segnala il «forte attivismo di operatori anche esteri». In finanza, dove oltre alle «mire di istituti stranieri verso quelli nazionali» emergono «inediti interessi stranieri nei segmenti connessi al settore (Npl, servizi It, risparmio, monetica)». Infine nell’energia, con «potenziali minacce al percorso di diversificazione dell’import di gas naturale avviato».
i procedimenti aperti settore per settore e quelli conclusi cresce il numero dei sì all’uso dei poteri speciali
Non sorprende che la quantità di notifiche pervenute al governo ai sensi del golden power sia rimasta alta: 577 casi nel 2023, con tendenza esplosa dal 2020-2022. Ma l’aumento più significativo riguarda le prenotifiche, istituite due anni fa per dare agli investitori un quadro preliminare sull’applicabilità della norma. Nel 2023 sono più che triplicate a 150, a conferma del fatto che la norma ormai agisce per deterrenza, frenando in modo panottico acquisizioni e investimenti esteri.
I poteri speciali, siano veto o condizionalità imposte dal governo, sono ormai parte integrante di ogni operazione, passata o ventura. Vedi il monito del ministro di Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, davanti ai lavoratori dell’ex Ilva di Genova: «Per l’Ilva ci sono cinque multinazionali interessate. Qualunque investitore entri vedrà applicata la procedura per cui il governo può porre divieti o prescrizioni per garantire il livello produttivo e gli investimenti».
L’uso del golden power
I meloniani adorano l’uso estensivo del golden power, già esercitato discrezionalmente nel far riscrivere il patto Pirelli in chiave “anticinese”, e nel veto all’acquisizione di una piccola azienda di macchinari – Microtecnica Srl – da parte della francese Safran. Pleonastico è notare che la norma non contempli la fattispecie del patto parasociale – quello comunicato nel luglio 2023 tra i soci italiani di Pirelli e la cinese Sinochem – né i livelli produttivi e occupazionali di qualunque azienda; e che le norme Ue cerchino di ridurre al minimo l’uso dei poteri nelle operazioni intraeuropee.
Proprio il regolamento Ue 452/2019 sugli investimenti esteri, che Bruxelles sta adeguando alla cornice più arcigna, tutela il mercato unico e tenta di dare omogeneità a tante discipline ad hoc introdotte dagli Stati membri. La sua riforma è attesa entro fine anno: se ne occuperà la prossima Commissione Ue, ma difficilmente potrà superare la contraddizione per cui, dietro la cornice collaborativa, si deroga ogni potere di intervento ai singoli Stati.
La posizione dell’Italia
La corsa italiana agli armamenti giuridici, partita dal 2014, accelerò sotto il governo Conte II, nel primo anno di pandemia. Tra i passaggi di testimone con il governo Draghi c’è proprio il dossier Verisem, alba del nuovo corso italico sui poteri speciali. L’azienda romagnola dei semi era nel mirino del colosso cinese Syngenta, che a inizio 2021 offrì in una gara la somma più alta: ma il veto abbatté l’operazione, anche su pressione di Coldiretti che temeva il trasloco in Asia di un leader mondiale nelle sementi per ortaggi. Il ricorso di Syngenta al Tar del Lazio, invocando la non strategicità dell’oggetto, fu rigettato dai giudici amministrativi, che rivendicarono «amplissima discrezionalità», anche per il fatto che il colosso era pubblico. E il Consiglio di Stato, confermando la sentenza, ha epigrafato il golden power come «limes provvedimentale posto dalla legge a garanzia ultima dell’interesse nazionale (…) a tutela di interessi fondamentali della collettività come discrezionalmente apprezzati dal Consiglio dei ministri, che esige un fondamento normativo altrettanto ampio, elastico, flessibile ed inclusivo».
La pronuncia è del gennaio 2023, siamo al presente. E l’aggiornamento, in materia, è in chiave tecnologica, e fa tendere verso l’infinito l’applicabilità dei poteri speciali. Lo si vide già sul caso Pirelli, in cui il cavillo giuridico furono i sensori cyber montati sulle gomme per captare dati sensibili. E l’avvento dell’intelligenza artificiale rischia di trasformare qualunque azienda la utilizzi in “strategica”. L’avvocato Luca Picotti, autore de La legge del più forte – Il diritto come strumento di competizione tra Stati, nota che «la dimensione strategica assunta dalle tecnologie è intimamente connessa alle problematiche di sicurezza nazionale, e gli Stati tentano di controllarle su tre direttrici: evitare che determinate tecnologie finiscano in mani straniere; scongiurare investimenti tecnologici all’estero; controllare e limitare gli investimenti in entrata. Il punto è che più le tecnologie diventeranno centrali più sarà anacronistica l’originaria individuazione dei settori strategici. E quando il dispiegamento tecnologico sarà l’ossatura centrale delle nostre società, come bilanceremo la tutela delle tecnologie senza sacrificare il libero mercato?».
Le questioni di principio si affiancano a quelle di sostanza, che attribuiscono ormai a ogni governo poteri in astratto. «C’è forse un bias politico italiano, ma anche un bias geopolitico legato al contesto, che porta a interpretare indiscriminatamente i poteri speciali, travalicandone le funzioni – aggiunge Picotti – Gli Usa e la Cina non fanno certo meno dell’Italia per difendere aziende e interessi nazionali». Ma, a differenza dell’Italia, vantano mercati interni, arsenali militari, debiti e spesa pubblici di tutt’altra categoria. Se lo possono permettere.
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