Il dilemma di Powell: taglio sì, taglio no tra inflazione e recessione

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Buona lettura,

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Ora la palla passa alla Federal Reserve. Dopo l’annuncio del Liberation day che ha alzato le barriere doganali statunitensi nei confronti di mezzo mondo, la prossima mossa – o non mossa – economica tocca alla banca centrale statunitense.

Il crollo dei mercati. I dazi hanno bruciato in tre giorni qualcosa come 10mila miliardi di capitalizzazione sui mercati azionari e hanno spinto quasi tutte le banche d’affari e le agenzie di rating a rivedere al ribasso le stime di crescita degli Stati Uniti e ad alzare quelle sull’inflazione.

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Le revisioni delle stime di crescita. L’incertezza che circonda le prospettive economiche è al punto più alto dai tempi del Covid. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto chiudere l’anno in corso con una crescita superiore al 2,5%, mentre ora le stime sono di tutt’altro tenore.

Gli svizzeri di Ubs, per esempio, prevedono che il Pil americano avrà una crescita inferiore all’1%, più meno lo stesso numero che hanno stimato gli analisti di Scope rating che si sono fermati all’1%.

Il ritorno dell’inflazione. Di pari passo, l’aumento delle tariffe porterà una nuova fiammata dell’inflazione. Quella core, che dal calcolo esclude energia, alimentari, alcol e tabacco, è vista dai banchieri di Citi per fine anno arrivare al 3,5% in aumento di 0,9 punti percentuali rispetto alle previsioni che la banca Usa aveva nei suoi report la settimana prima dell’annuncio dei dazi.

Ma ci sono anche previsioni peggiori: JPMorgan vede un’inflazione fino al 4,4% e ha ritoccato all’insù anche la disoccupazione al 5,3%.

Il dilemma di Powell. In questo scenario, Jerome Powell dovrà decidere cosa fare. Il dubbio è 1) se tagliare i tassi di interesse per evitare un brusco rallentamento economico o 2) mantenerli alti per prevenire una nuova esplosione dell’inflazione.

Le attese. Gli analisti delle banche d’affari propendo per i tagli. Dopo il crollo dei listini, gli operatori scommettono ora che la Fed ridurrà i tassi quattro o cinque volte quest’anno, rispetto alle tre previste precedentemente.

Le parole di Mr BlackRock. Ma non è detto che tutti lo vogliano. Lunedì scorso, l’amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, ha dichiarato di essere più allarmato dall’inflazione che dalla bassa crescita, aggiungendo di vedere “zero possibilità” di tagli nel breve termine. “Sono preoccupato per l’inflazione se tutte le tariffe proposte verranno davvero applicate”, ha detto.

Cosa vuole Trump. Due giorni dopo la conferenza tenuta nel giardino delle Rose della Casa Bianca, mentre i mercati grondavano sangue, il presidente Donald Trump si è rivolto attraverso il suo social network Truth direttamente a Powell, spiegando cosa dovrebbe fare.

Il post. “Questo sarebbe il momento PERFETTO per il presidente della Fed Jerome Powell per tagliare i tassi di interesse. È sempre ‘in ritardo’, ma ora potrebbe cambiare la sua immagine, e rapidamente. I prezzi dell’energia sono in calo, i tassi di interesse sono in calo, l’inflazione è in calo, anche le uova sono in calo del 69%, e i posti di lavoro sono in aumento, il tutto in due mesi – UNA GRANDE VITTORIA per l’America. TAGLIA I TASSI DI INTERESSE, JEROME, E SMETTI DI GIOCARE A POLITICA!”

Botta e risposta. La risposta di Powell è arrivata subito, lo stesso giorno, al meeting annuale dei giornalisti e degli editori finanziari in Virginia. E non lascia dubbi sul fatto che al momento Powell non vuole deviare dal mandato che il congresso ha conferito alla banca centrale.

Le parole di Powell. “Alla Fed, siamo decisamente concentrati sul raggiungimento degli obiettivi del doppio mandato che il Congresso ci ha assegnato, ossia la massima occupazione e la stabilità dei prezzi”.

Per lui l’economia è ancora ben salda, nonostante i rischi siano aumentati: l’inflazione si sta avvicinando all’obiettivo del 2% e la disoccupazione è al 4,2%, un ottimo livello.

Quanto a Trump, Powell ha anche aggiunto che la nuova amministrazione americana sta attuando cambiamenti in quattro aree, commercio, immigrazione, politica fiscale e regolamentazione, e che la Fed è ben posizionata per far fronte ai cambiamenti.

Non le cause… “Non è nostro compito commentare tali politiche”, ha detto Powell ma i suoi effetti sì. E per comprendere quali saranno, serve ancora tempo perché mancano alcuni dettagli come per esempio “cosa sarà soggetto a tariffa, a quale livello e per quale durata, e l’entità delle ritorsioni da parte dei nostri partner commerciali”.

Ma gli effetti. Di certo, per la Fed le tariffe sono state più alte di quello che tutti si aspettavano e produrranno “un’inflazione più elevata e una crescita più lenta”.

La palla in tribuna. Ma “è ancora presto per decidere cosa fare”. Insomma, Powell ha buttato la palla in tribuna, in attesa della prossima riunione della Fed prevista il prossimo 6 e 7 maggio. In quello successivo, poi, il 17 e 18 giugno, la Fed pubblicherà anche le sue proiezioni economiche.

Decidere cosa fare non sarà semplice. Con il Covid Powell aveva avuto gioco facile, mentre non è stato abile nel cogliere il successivo rincaro dei prezzi e l’inflazione gli è sfuggita di mano.

Le lezioni della storia. Un consiglio a Powell è arrivato dall’economista Mohamed A. El-Erian su Bloomberg : “Le lezioni della storia della banca centrale suggeriscono che, quando si trova ad affrontare entrambe le parti del doppio mandato contro di lei, la Fed dovrebbe dare priorità a rimettere il genio dell’inflazione nella lampada”.

Altrimenti il rischio è che dopo aver tentato per tre anni di riportarla al 2%, gli possa di nuovo sfuggire di mano.

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