Il futuro delle pensioni: l’esempio Paesi Bassi
Se Atene piange, Sparta non ride. L’Ocse ha lanciato l’allarme sull’incidenza della spesa pensionistica in Italia, in costante crescita e al top tra i Paesi aderenti all’organizzazione internazionale, ma anche gli altri Stati occidentali non se la passano bene. Pesa soprattutto l’allungamento della vita media a fronte del calo costante della natalità, oltre che le politiche generose in materia adottate nel passato e che continuano a gravare sui lavoratori di oggi. Come la maggior parte degli schemi pensionistici, quello del nostro Paese è a ripartizione: i contributi che i lavoratori versano vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa e, per far fronte al pagamento delle pensioni future, non è previsto alcun accumulo di riserve finanziarie. Motivo per cui il meccanismo non offre garanzie sulla sua sostenibilità, a differenza di quello a capitalizzazione, in virtù del quale i contributi versati dai lavoratori vengono investiti sul mercato dei capitali. Di conseguenza, ognuno riceve come pensione quello che ha versato più il suo rendimento sul mercato.
Il Mercer Cfa Institute Global Pension Index è uno studio annuale che analizza i modelli pensionistici, evidenziando quelli più virtuosi affinché possano agire da benchmark per gli altri. L’ultima edizione, che prende in considerazione 47 sistemi e copre il 64% della popolazione mondiale, vede al vertice i Paesi Bassi (85 punti su una scala che arriva fino a 100), caratterizzati da un assegno di base che viene corrisposto a tutti i cittadini al momento del pensionamento, al quale si affianca un massiccio ricorso alla previdenza complementare, alimentata con i contributi legati al reddito e il sostegno delle associazioni datoriali.
Eppure, anche questo modello ha mostrato fragilità in seguito all’invecchiamento della popolazione e alle performance negative dei fondi pensione negli anni immediatamente successivi alla grande crisi finanziaria. Da qui la riforma concertata con le parti sociali, che giungerà a pieno regime dal 2027, basata sull’abolizione dei piani a benefici definiti e il passaggio a quelli a contribuzione definita, che prevede un premio forfettario indipendente dall’età, in modo che i tassi di maturazione delle pensioni siano uniformi. Al contempo, il rischio verrà trasferito ai singoli consentendo una maggiore esposizione in giovane età fino ad avere rendimenti stabili al momento del pensionamento.
Tornando all’analisi di Mercer, l’Italia è nella fascia medio-bassa (31esimo posto con 56,3 punti), con gli analisti che rilevano piccoli miglioramenti nel corso degli ultimi anni, ma a fronte di uno scenario che resta critico soprattutto sul fronte della sostenibilità per la spesa pubblica. Da qui alcune indicazioni: ampliare la copertura dei regimi pensionistici professionali, elevando il livello dei contributi; aumentare il tasso di partecipazione alla forza lavoro in età avanzata, in parallelo con l’incremento delle aspettative di vita; introdurre una stretta sulle condizioni per andare in pensione in maniera anticipata. Strade difficili da percorrere per l’impatto negativo sull’elettorato che ne deriverebbe.
Una mano, ma non certo sufficiente, può arrivare dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale nel campo degli investimenti, che promette nel lungo termine di avere effetti positivi sui rendimenti dei fondi pensione. “Questa tecnologia ha anche il potenziale per migliorare il coinvolgimento dei singoli e aiutare le persone a prendere decisioni consapevoli in merito alle proprie decisioni finanziarie”, sottolinea David Knox, senior partner di Mercer, a capo del team che ha condotto la ricerca. Anche se l’esperto chiarisce che l’intelligenza artificiale non è priva di rischi di errata valutazione (allo stato attuale di sviluppo della tecnologia), così come permangono preoccupazioni etiche e dubbi circa le implicazioni in tema di privacy dei dati e sicurezza informatica.
Secondo il report Pensions at a glance pubblicato dall’Ocse, nel 2025 la spesa per le pensioni in Italia raggiungerà il 16,2% del Pil, contro una media dei Paesi aderenti all’organizzazione internazionale prevista al 9,3% e all’8,5% per l’Ue a 27. La situazione della Penisola continuerà a peggiorare fino al 2035, quando raggiungerà il 17,9% della ricchezza prodotta nel corso dell’anno, per poi ripiegare man mano che caleranno i percettori di assegni calcolati con il sistema retributivo e tenderanno a sparire i pensionati baby.
Nel complesso, si legge ancora nel report, nel 2022 l’aliquota media di contribuzione effettiva per le pensioni nei paesi Ocse ammontava al 18,2% del livello salariale medio, con l’Italia al vertice per la quota obbligatoria più alta (33%), seguita da Repubblica Ceca con il 28% e Francia con il 27,8%. “I paesi con tassi di contribuzione più elevati spesso lo hanno fatto per prestazioni pensionistiche superiori alla media (come nel caso di Francia e Italia)”, spiegano nel report gli analisti dell’Ocse, per poi concludere che “un livello più elevato di aliquote contributive potrebbe danneggiare la competitività dell’economia e determinare una riduzione dell’occupazione totale”.
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