Il peso occulto delle commissioni: come i costi dei fondi comuni erodono i rendimenti
L’universo dei fondi comuni di investimento si distingue per una struttura commissariale stratificata, dove ogni voce di costo incide in misura diversa sull’esperienza dell’investitore. Se da un lato la gestione attiva giustifica in parte l’onerosità di determinati comparti, dall’altro emerge con evidenza una sperequazione strutturale tra classi istituzionali e retail, asset class e strategie di investimento. In un contesto sempre più orientato alla trasparenza, grazie alle normative europee e all’avvento di strumenti di analisi avanzati come FIDAworkstation, è possibile misurare con precisione queste differenze e valutarne l’impatto sulle performance di lungo termine.
L’architettura dei costi nei fondi comuni
Il profilo commissionale dei fondi è un mosaico complesso, caratterizzato da oneri ex-ante ed ex-post. Le principali voci di spesa comprendono le commissioni di gestione, che rappresentano il compenso del gestore e incidono in modo significativo sulla redditività dell’investimento. A queste si aggiungono le spese correnti, che includono i costi operativi e amministrativi del fondo, solitamente espressi come percentuale annua dell’attivo. I costi di transazione, connessi all’attività di compravendita degli strumenti finanziari nel portafoglio, risultano più elevati nei fondi con alta rotazione. Infine, le commissioni di performance, applicate solo in alcuni casi, remunerano il gestore in base ai rendimenti ottenuti rispetto a un benchmark di riferimento.
L’introduzione della normativa MiFID II ha imposto un obbligo stringente di disclosure sia ex-ante, in fase di sottoscrizione, sia ex-post, su base periodica, aumentando la consapevolezza degli investitori rispetto all’onerosità dei prodotti sottoscritti. Tuttavia, la trasparenza non sempre si traduce in una maggiore competitività dei costi, come dimostra l’analisi empirica.
Nonostante l’obbligo di trasparenza, infatti, molti fondi continuano a presentare costi esorbitanti, specialmente nelle classi retail. Questo fenomeno è amplificato dal fatto che la comparazione dei costi tra fondi diversi non è sempre immediata e richiede competenze avanzate. Sebbene la regolamentazione abbia fatto passi da gigante, il livello di dettaglio e la comprensibilità delle informazioni non sono ancora ottimali, e ciò rende difficile per gli investitori effettuare scelte informate.
L’iniqua ripartizione dei costi: classi istituzionali vs retail
L’analisi dei dati mostra una disparità sistematica tra classi istituzionali e retail. I fondi destinati agli investitori privati registrano oneri più elevati su tutte le principali componenti commissionali. Alcuni esempi: negli Azionari Africa e Medio Oriente, la gestione costa lo 0,84% per gli istituzionali e il 2,17% per i retail, con spese correnti dall’1,38% al 2,91%. Negli Azionari America Latina – Large & Mid Cap, lo scarto sulla commissione di gestione ex-post è dallo 0,77% all’1,58%, mentre le spese correnti raddoppiano da 0,99% a 2,18%.
I dati confermano che le classi istituzionali beneficiano di economie di scala, con oneri commissionali sensibilmente ridotti rispetto ai prodotti retail, a parità di strategia e asset class. Questo crea una dinamica che mina i piccoli investitori, che si trovano a pagare un prezzo significativamente più alto per lo stesso servizio.
A sostegno di questa teoria, è importante evidenziare che numerosi fondi retail sono concepiti per massimizzare i profitti tramite commissioni elevate, approfittando del fatto che gli investitori privati tendono a focalizzarsi principalmente sulle performance storiche, trascurando l’analisi approfondita della struttura commissionale. Sebbene le performance calcolate sul NAV siano già al netto di tali costi, la scarsa consapevolezza degli investitori riguardo all’impatto delle commissioni sulla redditività a lungo termine costituisce una delle principali cause dell’inefficienza che caratterizza questo segmento di mercato.
Asset class e differenziali commissionali
Le differenze nei costi non si limitano alla distinzione tra classi di investimento, ma emergono con forza anche tra asset class. Negli azionari istituzionali, la commissione di gestione varia dallo 0,13% degli “Azionari Canada” all’1,94% degli “Azionari Leva 1 Short”. Gli obbligazionari istituzionali si attestano generalmente sotto lo 0,50%, con eccezioni come gli “Obbligazionari America Latina” che raggiungono lo 0,75%. Le strategie di ritorno assoluto risultano più onerose rispetto ai comparti tradizionali, con un premio per la maggiore complessità. Nei fondi monetari, i costi sono contenuti, spesso inferiori allo 0,20%. Nei comparti retail si osservano dinamiche analoghe, ma con livelli commissionali superiori su tutte le categorie.
Questa variabilità tra asset class ha importanti implicazioni per l’investitore. Fondi che si concentrano su mercati emergenti o su strategie particolarmente complesse tendono ad avere costi più elevati. Tuttavia, non sempre questi costi sono giustificati dai rendimenti effettivi. I dati storici mostrano che, in molte circostanze, l’alto costo di gestione non corrisponde a una performance migliore, ma piuttosto a una maggiore complessità che non si traduce in un valore aggiunto per l’investitore.
L’effetto della copertura valutaria: un costo aggiuntivo non trascurabile
Un ulteriore elemento che incide significativamente sulle spese di gestione è la copertura del rischio valutario. I comparti che adottano strategie di hedging presentano oneri superiori rispetto alle loro controparti non coperte. Negli Azionari Asia Pacifico (ex Giappone) EUR Hedged, la commissione di gestione ex-post sale allo 0,92% per gli istituzionali e all’1,68% per i retail, rispetto a 0,76% e 1,49% delle versioni non coperte. Gli Obbligazionari CHF Hedged registrano costi superiori rispetto alle versioni senza copertura valutaria.
Questa copertura può essere necessaria per mitigare il rischio associato alla fluttuazione delle valute, ma comporta inevitabilmente un costo aggiuntivo. L’analisi dei rendimenti netti di questi fondi suggerisce che l’effetto di protezione valutaria non sempre giustifica l’alto costo, soprattutto quando il rischio di cambio è limitato. Tuttavia, in un contesto di volatilità valutaria elevata, l’hedging può risultare un elemento cruciale per preservare il valore degli investimenti.
L’illusione della concorrenza e il vero motore dei costi
Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, l’aumento della concorrenza all’interno delle categorie non ha determinato una riduzione sistematica dei costi. Questo fenomeno può essere attribuito a una serie di motivazioni. In primo luogo, la domanda degli investitori retail è poco elastica, in quanto spesso questi ultimi non valutano adeguatamente l’incidenza dei costi, concentrandosi invece sulle performance storiche. La crescente differenziazione dei prodotti, con l’introduzione di nuove classi di quote, share class e strategie specifiche, ha permesso ai gestori di segmentare il mercato e di mantenere margini elevati. Tuttavia, un altro aspetto fondamentale da considerare è che molti dei costi associati alla gestione dei fondi non sono arbitrari e non possono essere ridotti in modo eccessivo solo in risposta alla concorrenza. I costi necessari per garantire un adeguato livello di servizio – come quelli legati all’acquisizione di dati, all’utilizzo di software sofisticati e alla remunerazione di profili professionali altamente qualificati – sono imprescindibili per il corretto funzionamento dei fondi. A ciò si aggiunge che le spese fisse elevate, quali quelle di ricerca, compliance e marketing, non sono soggette a riduzioni proporzionali con l’aumento delle dimensioni del fondo o degli operatori attivi su quello specifico tema di investimento, limitando così la possibilità di abbattere i costi in modo significativo. In un contesto macroeconomico in cui la domanda di prodotti sempre più diversificati e “alternativi” cresce, le politiche di pricing sono orientate a mantenere margini sufficienti per sostenere una gestione complessa e ad alta intensità di risorse.
Conclusioni: una zavorra per i rendimenti?
L’analisi empirica conferma come i costi commissionali rappresentino un onere significativo, soprattutto per gli investitori retail, che subiscono una penalizzazione rispetto agli istituzionali. L’effetto della copertura valutaria e la complessità delle strategie amplificano ulteriormente l’onerosità, mentre l’aumento della concorrenza non ha prodotto una riduzione generalizzata dei costi.
In un mercato che pone sempre più l’accento sulla sostenibilità e l’efficienza, la gestione dei costi è destinata a diventare una leva fondamentale per migliorare i rendimenti. L’accesso a strumenti di analisi avanzati, come quelli disponibili su FIDAworkstation, consente agli investitori e ai professionisti della finanza di monitorare in maniera puntuale le strutture commissionali, quantificarne l’impatto e individuare il miglior compromesso tra costi e rendimento. In un mercato in cui l’efficienza della gestione attiva è sotto scrutinio costante, la riduzione degli oneri resta una delle leve più efficaci per ottimizzare i rendimenti nel lungo periodo.
* Ufficio Studi FIDA – Finanza Dati Analisi
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