Il Tesoro fa il pieno di dividendi: 1,73 miliardi dalle grandi partecipate quotate in Borsa

MILANO – Il puzzle dei dividendi che il ministero dell’Economia si appresta a incassare dalle dirette partecipate quotate in Borsa è completo, dopo che il 21 marzo anche Enel ha svelato i numeri del 2023. Nelle casse del Tesoro stanno per arrivare 1,73 miliardi, grazie alle cedole che si preparano a staccare Poste Italiane, Eni, Banca Mps, Enav, Leonardo ed Enel, le quali in alcuni casi hanno già ricompensato i soci con acconti.

Il confronto con l’anno scorso

Si tratta di una cifra superiore rispetto a quella di 1,43 miliardi dell’anno scorso, riferita ai bilanci del 2022. Il fatto è che tutte le partecipate, per le quali nel 2023 il governo Meloni ha nominato i consigli di amministrazione tra novità e conferme, hanno annunciato dividendi in crescita, quasi sempre a fronte di maggiori utili (tendenza in comune con un po’ tutte le società di Piazza Affari).

Addirittura, Monte dei Paschi, aiutata dagli elevati tassi di interesse, è tornata alla cedola dopo avere lasciato a secco gli azionisti per anni. Lo scorso novembre, il Tesoro aveva incassato 920 milioni dalla vendita in Borsa del 25% della banca toscana, scendendo dal 64,23% al 39,23% del capitale.

L’idea di vendere le quote dirette in Eni e Poste

Un film che il governo intende a breve replicare cedendo azioni di Poste e di Eni, in linea con l’ambizioso obiettivo di vendere quote di partecipate per l’1% del Pil, pari a circa 20 miliardi, al 2026. L’idea del ministero guidato da Giancarlo Giorgetti è quella di mettere sul mercato il 29,26% delle Poste e il 4,67% dell’Eni, azzerando così la quota diretta e mantenendo il controllo indiretto tramite le partecipazioni in mano alla Cdp (per l’82,8% del Tesoro), che a sua volta custodisce il 35% del gruppo guidato da Matteo Del Fante e il 27,7% di quello capitanato da Claudio Descalzi.

Se il Mef dovesse decidere di passare ai fatti prima di maggio con Eni, che tra l’altro ha da poco completato il programma di riacquisto di azioni proprie mirato a sostenere i prezzi di Borsa, significherebbe non riuscire a incassare una parte del dividendo. Tra due mesi, infatti, il gruppo petrolifero distribuirà il saldo, corrispondente per il Tesoro a 39 milioni su una cedola del valore di 157,6 milioni.

Poste, piano di sviluppo a 5 anni: “Dividendi per 6,5 miliardi”

Gli azionisti delle Poste, invece, riceveranno il saldo a fine giugno. Questo vuol dire che, se il Mef decidesse di vendere prima di quella data, rinuncerebbe a 215 milioni su un dividendo da 305,7 milioni. Da notare che, agli attuali prezzi di mercato, il 29,26% delle Poste vale più di 4,3 miliardi, considerando che la società in Borsa ha guadagnato il 21,5% nell’ultimo anno. Eni, nello stesso periodo, è invece salita del 15%, il che consente di attribuire al 4,67% nel portafoglio del Mef un valore di mercato di quasi 2,3 miliardi.

Oggi si incassa ma si perde il dividendo

In altri termini, vendendo oggi, con le Borse ai massimi, il Tesoro potrebbe incassare 6,6 miliardi dalle due partecipate, dicendo però addio ai saldi sui dividendi e ovviamente al flusso di cedole future.

Non a caso, ecco quel che evidenzia il dossier di recente preparato dal servizio del bilancio del Senato in relazione al decreto del presidente del Consiglio dei ministri sulla vendita della quota nelle Poste: «Dall’operazione deriveranno effetti finanziari positivi per l’incasso dei proventi dall’alienazione delle azioni, che ridurranno il debito e la relativa spesa per interessi, ed effetti negativi per la riduzione o cessazione di entrate da dividendi».

Da qui l’auspicio che «sarebbe utile acquisire elementi sugli effetti di riduzione del debito e una valutazione di massima circa i possibili effetti netti sui saldi di bilancio. In particolare, le mancate entrate attese da dividendi andrebbero confrontate con i risparmi di spesa per interessi sul debito al fine di determinare l’effetto netto dei flussi sui saldi di finanza pubblica».

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