Le imprese tlc così piccole e fragili. Voglia di fusioni, ma pesano Ue e golden power
SONO troppe, combattono tra loro con la forza di nani da giardino e sono malandate a volte nel conto economico. Consapevoli della loro debolezza, queste aziende vorrebbero unirsi e crescere, certo. Ma due guardiani (la Commissione Ue, garante severo della concorrenza) e i governi nazionali ne frenano l’integrazione.
Il Rapporto di Mario Draghi sul “Futuro della competitività europea”, commissionato da Bruxelles, scatta un’istantanea nitida e a tratti inquietante alle telecomunicazioni in Europa.
L’Unione conta ad esempio 34 operatori nella telefonia mobile quando gli Stati Uniti ne hanno 3 (più grandi e competitivi) e l’immensa Cina appena 4.
Enrico Letta – nel suo Rapporto “Molto più di un mercato”, commissionato sempre dall’Ue – conferma che un operatore medio europeo «serve solo 5 milioni di abbonati rispetto ai 107 milioni degli Usa e ai 467 della Cina».
La moltiplicazione dei marchi
In Europa e anche in Italia, la moltiplicazione dei marchi e delle offerte genera un effetto virtuoso. In anni di crisi economica, noi paghiamo poco per navigare in Rete. Ma questo beneficio porta con sé un costo meno visibile forse; eppure grande.
Le imprese europee delle tlc non assumono personale e, qualche volta, addirittura lo riducono. Come Vodafone in Germania (con i suoi 2.000 tagli); come Nokia in Finlandia (Paese dentro lo Spazio Economico Europeo) che manderà a casa 14.000 persone (entrambi gli operatori per il 2026). Il motivo dei licenziamenti o delle poche assunzioni? Le aziende non hanno soldi.
In contesti asfittici prendono corpo anche dei paradossi di mercato. In molti Paesi europei, le imprese delle tlc stentano a portare la fibra superveloce nelle case. Quando ci riescono, spinte anche da generosi contributi nazionali e comunitari, non trovano così tante famiglie disposte ad abbonarsi. Perché? La gente ha pochi soldi.
Il 5G e il 6G
Svariate imprese europee faticano anche a investire in tecnologie come il 5G, l’ormai vicino 6G, la veicolazione dei dati con tecnologie efficienti come l’edge computing, la stessa intelligenza artificiale. Letta ci ricorda che un mercato unico delle tlc, alla fine non è mai nato nell’Ue e «la perdurante frammentazione» limita «la capacità di investire e competere con le controparti globali». Gli investimenti nel settore delle tlc europee, in effetti, sono passati dai 59,1 miliardi del 2022 ai 57,9 del 2023 (-2%).
Ora, le tecnologie della comunicazione non sono aria o polline. Funzionano da vene pulsanti del sistema Paese. Servono alle aziende di ogni settore industriale, ad esempio, per lavorare meglio e creare ricchezza.
L’ultimo Rapporto dell’osservatorio Connect Europe spiega che le imprese più avanzate, affamate di processi produttivi intelligenti, hanno bisogno del 5G nella forma evoluta, la Standalone (SA). E anche qui i numeri del 2024 ci inchiodano, per ora: la copertura di questo super 5G raggiunge il 40% di popolazione in Europa e il 91% nel Nord America, area di nuovo più competitiva.
I nodi periferici
Certo, le nostre aziende delle tlc non si sono arrese, anzi: si battono a denti stretti, ad esempio nell’edge computing. La tecnologia elabora i dati non più in una forma centralizzata (attraverso il cloud), ma in modo decentralizzato.
Entrano in gioco dei nodi di calcolo periferici, efficienti perché vicini alle imprese destinatarie finale dei dati. In questo ambito, 8 operatori europei hanno proposto offerte commerciali credibili fin dai primi mesi del 2024.
La strada maestra per creare lavoro e valore resta quella delle fusioni che alcune imprese hanno già percorso nel 2024. Nozze che prendono corpo – attenzione – solo dopo le meticolose verifiche delle autorità di garanzia, sentinelle della concorrenza.
Patuano (Cellnex): “Perché le fusioni servono anche nelle torri delle telecomunicazioni”
La libertà d’impresa
Un anno fa viene celebrato il matrimonio spagnolo tra Orange e MásMóvil, che crea un soggetto da 37 milioni di clienti (tra telefonia mobile e Rete). La Commissione Ue ha dato via libera, certo, ma ponendo condizioni e paletti.
E anche il Garante britannico – la Competition and Markets Authority (Cma) – ha autorizzato l’unione tra Vodafone e Three, dopo 8 mesi di indagini. Colpisce che il Garante sia entrato nel confine della libertà d’impresa imponendo agli “sposi” di investire 11 miliardi di sterline in una rete 5G avanzata, capace di raggiungere il 99% della popolazione. In Italia intanto Fastweb ha conquistato Vodafone, mentre Tim si allea con Poste.
Incoraggia a ulteriori fusioni nelle tlc la banca d’affari Standard&Poor’s che – nel report del 14 gennaio (“Stronger signals”) – pronostica ricavi in crescita del 2% nel 2025 a patto sia cavalcata l’onda delle integrazioni in Europa.
Le aziende strategiche
Integrazioni che devono misurarsi anche con le norme sul golden power che permettono ai governi di proteggere le aziende strategiche. Quelle delle tlc sono tra le più salvaguardate. In questa logica, il governo Meloni difficilmente avrebbe permesso alla francese Iliad di prendere il controllo di Tim. Ad Iliad è andata meglio la campagna svedese di febbraio 2024 quando però i francesi si sono limitati a comprare il 19,8% dell’operatore svedese Tele2 per 1,16 miliardi di euro.
Le soluzioni a tutti questi problemi? Nel suo Rapporto, Draghi suggerisce – tra le altre cose – di impegnare le aziende europee in progetti senza frontiere. Come la creazione o il rafforzamento delle costellazioni di mini-satelliti capaci di competere con la Starlink di Elon Musk (missione cui guarda la nostra Leonardo).
Altra bella idea – forse utopica – è di varare aste per le frequenze su scala europea, così da alleviare gli esborsi per le aziende delle tlc. Letta pone anche il problema degli arbitri. Sono le Autorità di garanzia che operano ognuna nel proprio orto con logica nazionale mentre servirebbe un’Autorità comune.
Chiamare senza costi
E servirebbero anche delle regole più stringenti per i giganti della Rete. Stretta che le aziende delle tlc invocano da tempo. Caso emblematico è WhatsApp, proprietà di Meta, che ci fa telefonare via web, gratis.
La gratuità è presto spiegata: WhatsApp sostiene costi marginali che tendono a zero per il servizio. Invece le imprese storiche della telefonia reggono ben altro carico. Sopportano ad esempio dei costi se instradano una chiamata dalla propria rete a quella di un concorrente (percorso di interconnessione inevitabile perché ci si possa parlare).
Ma questo è competere ad armi pari?
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