Le merci parlano. Ma noi le ascoltiamo?
Le merci parlano. E fin qui, niente di nuovo. Lo fanno con packaging seduttivi, colori caldi o freddi secondo target, semantiche zuccherose o muscolari, cartelloni promozionali che sembrano cori da stadio. Ma il punto non è se parlano. Il punto è: che cosa dicono? E, soprattutto: qualcuno le ascolta davvero?
Domande tutt’altro che retoriche, quelle sollevate da Davide Pellegrini, professore di Marketing all’Università di Parma, durante il convegno Coralis. Un intervento folgorante, pieno di dati ma anche di visione, che ci obbliga a guardare in faccia una verità scomoda: la fedeltà, nel retail, è finita. E no, non è colpa del prezzo.
Pellegrini parte da una constatazione tanto evidente quanto trascurata: oggi i clienti sono infedeli. Non tanto ai prodotti – quelli vanno e vengono nei carrelli – quanto ai luoghi. Ai negozi. Alle insegne. A quel rapporto che una volta si costruiva nel tempo e oggi si consuma (in tutti i sensi) in pochi clic. Ma la colpa, attenzione, non è dell’e-commerce. E nemmeno dell’inflazione. Il vero colpevole è l’assenza di coerenza. O meglio, l’assenza di service design.
Cos’è? Una parola da addetti ai lavori, ma un concetto potentissimo. Service design significa progettare tutto, dall’assortimento alla promo, dal layout alle persone, come se ogni dettaglio fosse una promessa. E come se ogni promessa fosse una questione di fiducia. Perché se lo scaffale dice A e il volantino dice B, e se il personale non c’è o (peggio) c’è ma non sa, allora il cliente prende e se ne va. Letteralmente.
I dati ci sono, li snocciola con ritmo chirurgico: produttività per metro quadro, incidenza del costo del lavoro, salario orario, margini in calo, up-lift che non “liffta” più, ma non è un paper accademico: è un reality show sulla realtà del retail; dove il discount performa ma non rassicura, dove la prossimità ha potenziale ma spreca valore, dove il superstore cerca un’identità che non sia solo questione di metri quadri.
E allora? Allora, dice Pellegrini, torniamo alle basi. Quelle vere. Quelle che dicono che un uovo, se ben raccontato, può parlare. Che una banana può dire “sono sostenibile, sono buona, sono tua”. Ma anche che nessun prodotto parlerà mai quanto un essere umano. Che il servizio -il vero servizio- non è una procedura, ma una relazione. Che non c’è fidelizzazione senza empatia.
Torna in scena Parasuraman, con le sue cinque dimensioni della qualità percepita: tangibilità, affidabilità, reattività, rassicurazione, empatia. Sembra roba vecchia? E invece è attualissima, se la si declina nel presente. Dove la differenza la fa chi sa guardare il cliente negli occhi, dal vivo o attraverso un’interfaccia, e capire cosa cerca. Che, spoiler, non è lo sconto del 20%.
Nel finale, Pellegrini lancia una provocazione che è anche una lezione di marketing puro: non sottovalutiamo il potere delle persone. Non quelle dei dati (che pure servono) ma quelle reali; quelle che sanno parlare, rassicurare, risolvere, sorridere. Quelle che sanno creare valore, non solo transazioni.
Perché sì, le merci parlano. Ma il cliente resta fedele solo se a parlare con lui è qualcuno che lo conosce. O almeno, che ci prova davvero.
*direttore di Markup e Gdoweek
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