Legge Capitali, un terremoto per Generali, Mediobanca e Tim

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Quello che so sui mercati finanziari e l’economia l’ho imparato lavorando per una delle principali Sim di Piazza Affari, le società che comprano e vendono i titoli in Borsa per i grandi investitori. L’ho portato con me quando sono diventato giornalista di Repubblica dove, tra le altre cose, mi sono occupato di inchieste e grandi scandali come quello di Parmalat, contribuendo a smascherare i suoi bilanci falsi.Ogni mercoledì parleremo di società quotate e no, di personaggi, istituzioni, di scandali e inchieste legate a questo mondo. Se volete scrivermi, la mia mail è w.galbiati@repubblica.it.

Buona lettura

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Che avrebbe generato molta confusione nella governance delle società quotate e che le norme fossero bizantine, lo avevamo capito un po’ tutti. Ma ora due professori dell’Università Cattolica, Massimo Belcredi e Stefano Bozzi, entrambi ordinari di finanza aziendale, si sono messi con carta, penna e calcolatrice per vedere quale sarebbe stato l’effetto della Legge Capitali sull’esito delle assemblee che negli ultimi quattro anni (2021-2024) hanno visto la presentazione di una lista del cda.

Ddl Capitali, sul tavolo l’attrattività dell’Italia per i grandi investitori

Pro-memoria. L’obiettivo del provvedimento è attirare nuovi investitori e capitali in Italia per accelerare la crescita delle nostre imprese, troppo piccole per competere a livello globale, e di contro evitare che le nostre aziende per crescere e per avere una migliore governance vadano all’estero, impoverendo il nostro panorama imprenditoriale. Ad oggi e a detta di molti, i giudizi sulla Legge, ancora in attesa del regolamento attuativo che la Consob deve emanare e dell’esecuzione della delega per apportare eventuali modifiche, è non di attrarre, ma di far scappare gli investitori.

Legge Capitali complicazioni e bizantinismi

Gli effetti della nuova legge. Anche secondo gli autori dell’analisi, la nuova normativa che definiscono “barocca” non funziona, perché porta una forte “instabilità degli assetti di governance e un incentivo a creare blocchi di disturbo”, a tal punto che con le regole della Legge Capitali non risulta conveniente presentare le liste del cda con due esiti negativi: 1) per la legge stessa che come fine ha quello di regolare le liste del cda e 2) per le public company che non avendo azionisti di riferimento non avrebbero altro modo per presentare le liste.

Cosa non funziona. L’analisi mostra che il risultato delle elezioni per il nuovo cda dipende in maniera cruciale da due fattori: 1) la “legge elettorale” adottata, ovvero se il legislatore – cosa su cui non c’è ancora chiarezza – opta per il sistema proporzionale puro oppure per il maggioritario; 2) il comportamento passivo o attivo degli azionisti.

1) La legge elettorale. Il primo fattore è importante, ma è un vero punto interrogativo perché la legge Capitali non chiarisce se le società possano continuare a fare uso del sistema maggioritario, limitando a) l’applicazione del proporzionale puro al “riparto tra liste di minoranza”, oppure b) se il sistema proporzionale puro debba applicarsi anche al “riparto tra maggioranza e minoranze”, con sbarramento comunque al 3%.

Nel primo caso a), gli impatti sulla governance delle 18 assemblee prese in considerazione sarebbero minimi. Tra parentesi le assemblee sono Assicurazioni Generali 2022, Avio 2023, Banco Bpm 2023, BFF Bank 2021, BFF Bank 2024, Cattolica Assicurazioni 2021, Cellularline 2023, Fineco Bank 2023, Illimity Bank 2022, Mediobanca 2023, Prysmian 2021, Prysmian 2024, Sebaf 2021, Telecom Italia 2021, Telecom Italia 2024, Unicredit 2021, Unicredit 2024, Unieuro 2022

Nel secondo caso b), invece, non succederebbe nulla in buona parte delle assemblee analizzate, ma in due particolarmente importanti, Generali e Mediobanca, l’assetto di governance cambierebbe in modo sensibile.

Nel dettaglio, gli azionisti (Caltagirone e Delfin) critici verso l’attuale management otterrebbero un sostanziale potere di veto sulla presentazione della lista del cda uscente.

Come? Col sistema proporzionale puro, la lista di minoranza otterrebbe consensi ben oltre il 40% (43,6% in Generali e 41,7% in Mediobanca), che si tradurrebbero in una rappresentanza di 6 seggi su 13 e di 7 su 15 che sfiora la metà del consiglio. “In occasione del prossimo rinnovo del cda – scrivono Belcredi e Bozzi – sarebbe impossibile per l’organo amministrativo presentare una propria lista senza il consenso dei consiglieri di minoranza. In questo senso si può affermare che la Legge Capitali ha spostato gli equilibri in maniera decisiva nei due casi indicati (e solo in quelli)”.

Il comportamento passivo o attivo degli azionisti. L’altro fattore determinante è il comportamento degli azionisti. Le nuove regole della Legge Capitali potrebbero infatti invogliare i soci a comportarsi diversamente dal solito e diventare più attivi per ottenere più benefici. Se così fosse, anche in quelle assemblee dove in passato non è avvenuto nessuno scontro, potrebbero cambiare gli equilibri, sul modello dei casi Mediobanca e Generali, a secoda di come scelgono di posizionarsi i soci influenti con più del 10% del capitale.

Il caso Tim. “In varie società – scrivono i due professori – potrebbero essere eletti board spaccati e poco governabili; in alcuni casi (vedi ultima assemblea di Tim) si può avere un ribaltamento delle maggioranze assembleari e la presa del board da parte di soci di minoranza”.

Come? L’assemblea Telecom del 2024 ha visto convergere sulla lista del Cda il voto di Cdp che possiede il 9,8% della società e di gran parte (89,5%) degli investitori istituzionali.

Le liste dei due fondi di private equity che si proponevano come alternativi al management non hanno superato la soglia di sbarramento del 3%.

Vivendi era rimasta alla finestra, ma qualora diventasse un socio attivo, presentando una lista lunga si potrebbero creare diversi scenari in base al posizionamento degli investitori istituzionali e alla presenza di altre liste.

Scenario 1) Se gli istituzionali convergono sulla lista di Vivendi, i francesi ottengono una forte maggioranza in consiglio, pari a 12 seggi contro i 3 della lista del cda.

Scenario 2) Se gli istituzionali convergono sulla lista del cda, questa conserva la maggioranza dei seggi (9 su 15) ma Vivendi ottiene una minoranza di blocco (6 seggi pari al 40% del board) in grado di impedire sia la presentazione della lista del cda al rinnovo successivo sia le operazioni che richiedano l’approvazione dell’assemblea straordinaria.

Scenario 3) Se come nell’ultima assemblea si presentano altre liste di minoranza che non superano la soglia di sbarramento e gli investitori istituzionali votano per la lista del cda, si attiva il meccanismo di riassegnazione dei voti delle liste di minoranza che vanno alla lista di minoranza più votata con il risultato che Vivendi ottiene altri 5 dei restanti 9 seggi contro i 4 della lista del cda. Un esito paradossale, perché la lista meno votata si vede assegnata la maggioranza dei posti in consiglio.

In conclusione, secondo Belcredi e Bozzi, la legge Capitali detta, unica al mondo, regole asimmetriche che favoriscono gli azionisti attivi e la creazione di posizioni di disturbo, soprattutto se dovesse prevalere un’interpretazione rigida che imponesse l’applicazione del sistema proporzionale puro.

Le regole asimmetriche. Di fatto, presentare la lista del cda non conviene perché è penalizzante: 1) deve essere approvata dal cda uscente con la maggioranza dei due terzi dei vecchi consiglieri, 2) deve contenere un numero di candidati superiore di un terzo a quelli che effettivamente entreranno nel board e 3) deve essere presentata 40 giorni prima dell’assemblea (per gli altri bastano 25 giorni).

4) Se poi viene votata, esistono due sistemi elettorali diversi, in base alla percentuale di voti che incasserà la seconda lista: a) se questa prende meno del 20%, si voterà con un sistema maggioritario che assegna seggi pari al 20% agli azionisti di minoranza. b) Se prende più del 20%, si assegneranno i seggi in modo proporzionale con una soglia di sbarramento al 3%.

5) Nel caso poi vincesse la lista del cda, la presidenza del comitato per il controllo interno e gestione dei rischi verrà assegnata a un amministratore indipendente tratto da una lista di minoranza.

6) Inoltre tutti i candidati della lista del cda non entreranno direttamente in consiglio, ma essendo stati presentati in numero maggiore dei posti disponibili, verranno sottoposti a una nuova votazione.

Non è chiaro se potranno votare tutti gli azionisti o solo quelli che hanno votato la lista del cda, ma nell’ipotesi allargata chi non era favorevole alla lista potrebbe essere interessato a far cadere per esempio il candidato alla poltrona di amministratore delegato oppure a facilitare la promozione dei candidati in fondo alla lista del CdA (a scapito di quelli che occupano le prime posizioni), che si troverebbero così a dovere la loro elezione agli azionisti attivi e potrebbero rivelarsi, una volta eletti, più sensibili alle istanze degli azionisti di minoranza.

Stando così le cose, c’è da scommettere che se la delega o il regolamento attuativo della Consob non raddrizzeranno alcune storture, nessun cda in uscita che si aspetti bagarre in assemblea presenterà una lista, ma preferirà appoggiare una qualsiasi altra lista che non dovrà sottostare a tutti gli obblighi elencati qui sopra.

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