LinkedIn riscrive il curriculum: più competenze, meno titoli. E l’IA trova il lavoro ideale

Aneesh Raman, Chief Economic Opportunity Officer di LinkedIn, è la dimostrazione concreta di un mondo del lavoro in costante evoluzione, dove alcuni ruoli scompaiono e altri nascono dal nulla. Proprio come il suo.

“Fino a nove mesi fa la mia posizione non esisteva – racconta -. Ho aggiornato il mio profilo LinkedIn proprio questa settimana, per descrivere meglio ciò che sto facendo”. Il compito di Raman è costruire un ponte robusto tra la piattaforma più famosa tra i professionisti e l’economia reale.

LinkedIn ha più di un miliardo di utenti. È un luogo virtuale in forte crescita: i ricavi annuali, negli ultimi cinque anni, sono passati da 7 a 15 miliardi di dollari. Qui le persone si incontrano, principalmente, per creare opportunità economiche. Ma se queste occasioni non si concretizzano, il rischio è che LinkedIn – fondato nel 2002 e acquisito da Microsoft nel 2016 per circa 26 miliardi di dollari – resti “solo” un social.

“Abbiamo una responsabilità – dice Raman – dobbiamo aiutare gli esseri umani a capire meglio i cambiamenti in arrivo”. Il riferimento alla nostra specie non è casuale. L’IA, per i lavoratori, è un’opportunità ma anche un fantasma inquietante. Ma non è l’unica rivoluzione in corso. Prima di tutto, consiglia Raman, “dobbiamo smettere di identificarci solo nei titoli lavorativi e vederci come persone dotate di competenze”.

Non è così facile. Qui in Italia, per esempio, siamo molto attaccati alle qualifiche e ai titoli professionali.

“Sì, ma non siete gli unici. È un fenomeno globale. Un tempo, il titolo di lavoro era sufficiente a spiegare cosa facesse una persona. Ma oggi non basta più. Anche il mio percorso, se limitato ai titoli, non ha senso”.

Ma come, lei ha un curriculum straordinario.

“Eppure è irregolare. Sono stato corrispondente di guerra, poi ho scritto discorsi per il presidente Obama, ho lavorato per startup, in Facebook e infine per il governatore della California”.

E come ha riassunto tutto questo su LinkedIn?

“Elencando le mie competenze principali per ogni lavoro svolto. Consiglio a tutti di farlo, è fondamentale”.

Ha usato l’IA per modificare il suo profilo?

“Nel profondo sono uno scrittore, di solito tendo a fare da solo. Però uso strumenti IA ogni giorno. In modo consapevole: so cosa possono fare, cosa devo fare io e cosa possiamo fare insieme”.

Sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale circola da tempo una vignetta ironica che però rispecchia abbastanza fedelmente i tempi che stiamo vivendo: una persona utilizza l’IA per espandere un’email, mentre il destinatario la impiega per riassumerla.

“Fa riflettere su come la comunicazione si sia evoluta nel tempo: prima i memo scritti a mano, poi quelli dattiloscritti, le email, ora le chat su Teams. La tecnologia ha sempre trasformato il modo in cui ci esprimiamo e ci capiamo. La vera novità, però, è che l’intelligenza artificiale non si limita a trasmettere un messaggio: può anche elaborarlo, ragionare, svolgere compiti che credevamo esclusivi dell’essere umano. Ma l’IA non può essere un fine in sé. Se ci limitiamo a copiarne i suggerimenti e chi legge li riduce con un altro strumento automatico, il risultato sarà una comunicazione piatta, priva di valore. L’obiettivo dovrebbe essere un altro: usare l’IA per rafforzare il pensiero critico, migliorare la strategia, e soprattutto creare spazi di autentica interazione umana”.

Il CEO di LinkedIn, Ryan Roslansky, ha detto a Bloomberg che usa l’IA per scrivere mail che sembrino “abbastanza intelligenti” per Satya Nadella, CEO di Microsoft.

“E io a mia volta lo faccio con Ryan. Uso l’IA per essere certo di entusiasmarlo. Uno dei grandi vantaggi offerti dall’IA è la traduzione: non solo tra lingue diverse, ma anche tra persone con competenze differenti, come un ingegnere e un commerciale che spesso fanno fatica a capirsi”.

Sul New York Times lei ha lanciato un allarme: l’IA mette a rischio i lavori che da sempre rappresentano l’avvio della carriera per i più giovani.

“È una sensazione emersa dai viaggi che ho fatto negli ultimi sei mesi in Europa e Asia, dove ho parlato con centinaia di leader d’azienda. Ma anche dai dati. Abbiamo fatto un sondaggio negli USA [U.S. Workforce Confidence Index, ndr]: poco più del 60% dei dirigenti concorda che l’IA prenderà in carico alcune mansioni che oggi svolgono i lavoratori entry-level. Ma lo stesso numero dice anche che i dipendenti junior portano idee nuove, fondamentali per la crescita. È un’equazione complessa di cui non stiamo parlando abbastanza”.

Molti sostengono che le previsioni sulla scomparsa del lavoro, per via dell’IA, siano esagerate.

“Ogni nuova era tecnologica ha comportato sia la scomparsa che la nascita di nuovi impieghi, e in genere l’occupazione complessiva è aumentata. Tuttavia, ciò che distingue questa fase è che l’IA interviene su compiti e ruoli che finora non erano mai stati automatizzati. Non si tratta quindi solo di un cambiamento quantitativo, ma di una trasformazione profonda e qualitativa”.
Dunque assisteremo anche in questo caso a un aumento dell’occupazione netta?

“Sono convinto che sia possibile. I dipendenti non spariranno, ma cambieranno la struttura delle aziende, i tipi di mansioni offerte e la natura stessa dell’impiego. Si andrà sempre più verso un lavoro per progetti, con modelli organizzativi e contrattuali nuovi, che richiederanno competenze diverse e un approccio completamente rinnovato. Il vero fattore che determinerà l’evoluzione dell’occupazione sarà la nostra capacità di stimolare l’imprenditorialità. Oggi, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, creare strumenti, lanciare prodotti e avviare imprese non è mai stato così accessibile. Questo apre scenari straordinari: possiamo assistere alla nascita di nuove aziende in contesti dove, fino a ieri, sembrava impensabile. Una donna in un’area rurale dell’India, un ragazzo in una favela brasiliana, o qualcuno in una piccola città dell’Italia meridionale o dell’America profonda: tutte queste persone possono finalmente accedere a strumenti che permettono loro di costruire qualcosa di proprio. Ecco perché credo che le politiche pubbliche dovrebbero concentrarsi proprio su questo: sostenere l’imprenditorialità come motore del nuovo sviluppo economico”.

Le aziende sono sommerse da curriculum generati con l’IA. Anche questo è un problema.

“Stiamo osservando un aumento su entrambi i fronti: crescono sia le candidature, sia le offerte di impiego. Oggi però trovare lavoro significa indovinare le parole chiave giuste, cercare il titolo più simile a quello già ricoperto”.

Ma non funziona più così bene.

“La ricerca dovrebbe essere conversazionale. Quello di cui vado più fiero è l’evoluzione [di LinkedIn] verso una ricerca del lavoro basata sulla semantica. Chi scrive ‘Sono creativo, mi piace disegnare, mi interessa l’ambiente’ dovrebbe ricevere proposte coerenti con il proprio profilo. Allo stesso modo, un’azienda dovrebbe poter definire ciò che cerca in termini di attitudini, valori e competenze reali. È questo il cambiamento a cui stiamo lavorando”.

Quando si realizzerà?

“Per ora siamo solo all’inizio. Come spesso accade con l’arrivo di una nuova tecnologia, il primo effetto è un aumento del volume: più contenuti, più domande, più offerte. È una fase caotica, ma temporanea”.

L’intelligenza artificiale non riguarda solo la generazione di contenuti: anche la robotica sta avanzando rapidamente, grazie alla capacità dell’AI di aiutare le macchine a comprendere meglio istruzioni e compiti. È pura fantascienza immaginare un LinkedIn per robot umanoidi, dove riassumere le loro competenze ed esperienze?

“Partiamo dalla realtà, perché già oggi vediamo segnali chiari che tutto sta cambiando. Il lavoro, così come lo conosciamo, sta vivendo una rivoluzione guidata non solo da tecnologie come intelligenza artificiale, robotica e calcolo quantistico, ma anche da dinamiche culturali: il lavoro ibrido, la gig economy, e la convivenza di sei generazioni diverse nello stesso ambiente professionale. È impossibile prevedere con precisione come si combineranno tutte queste forze. Ma una cosa è certa: il lavoro non diventerà meno umano, semmai il contrario. Qualità come curiosità, creatività, empatia, coraggio e capacità di comunicazione diventeranno sempre più centrali, indipendentemente dalla forma che assumeranno i mestieri del futuro. Il nostro compito oggi è prepararci a questa transizione. E possiamo farlo solo partecipando attivamente allo sviluppo delle tecnologie, non subendole. L’obiettivo non è lasciare che il cambiamento ci travolga, ma affrontarlo da protagonisti. Se ci riusciamo, l’innovazione non sarà una minaccia alla nostra umanità, ma un’occasione per valorizzarla”.

Negli Usa, nel settore manifatturiero, oggi persistono circa 400.000 posizioni vacanti. Mancano le competenze adeguate. Come state trasformando, su LinkedIn, questo divario formativo in un’opportunità concreta?
“La nostra priorità è portare le competenze al centro del mercato del lavoro. È importante dirlo chiaramente: oggi il mercato del lavoro è uno dei sistemi meno trasparenti, meno dinamici e meno inclusivi che abbiamo costruito. E funziona male, perché fatica ad abbinare talento e opportunità in modo efficace. Prendiamo il caso del manifatturiero: il problema non è solo tecnico o demografico”.

Cos’altro influisce?

“C’è anche un fattore culturale profondo. Per anni, l’economia della conoscenza ha spinto l’idea che l’unico percorso valido per migliorare la propria condizione fosse l’università, un titolo accademico e un lavoro d’ufficio — il classico “colletto bianco”. Nel frattempo, il lavoro manuale, tecnico, o da “colletto blu” è stato progressivamente svalutato, fino a diventare invisibile o addirittura stigmatizzato in certi contesti. Oggi però, con l’arrivo dell’intelligenza artificiale e della robotica, questa narrazione sta cambiando. Ed è fondamentale aiutare le persone a riscoprire le proprie competenze: cosa sanno fare, cosa amano fare, e in cosa possono diventare eccellenti. A partire da lì, possiamo collegarle a percorsi professionali concreti, attraverso strumenti nuovi e più intelligenti”.

Talvolta capita di sentire persone dire che, in fondo, nessuno trova davvero lavoro tramite LinkedIn. Lei come risponde ai più scettici?

“Ogni minuto, qualcuno trova lavoro su LinkedIn. È un dato concreto. Detto questo, capisco perché ci sia scetticismo. Per molti questo è un periodo complicato: cercano un’occupazione in un mercato del lavoro in profondo cambiamento, circondati da migliaia di altri candidati che usano strumenti sempre più potenti per inviare candidature in massa. Il risultato è che spesso le offerte sono generiche, poco mirate, e causano un senso di frustrazione crescente”.

Qual è il modo migliore per affrontarla?

“Il mio consiglio è chiaro: non lasciate che la paura, l’ansia o la frustrazione diventino la vostra narrativa personale. Se lasciate che siano queste emozioni a guidarvi, diventa difficile sviluppare le nuove competenze e abitudini necessarie per il futuro. Al contrario, se riuscite a concentrarvi sull’apprendimento, sulla crescita, su nuovi approcci, allora sì: ci sarà spazio, ci sarà opportunità. Sono convinto che il potenziale per chi sceglie di attivarsi sia enorme. Faccio spesso questo esempio: immaginate di poter tornare indietro nel tempo, agli inizi degli anni ’90, quando Internet stava per rivoluzionare tutto. Cosa avreste fatto? Avreste lavorato in una piccola Google ancora in un garage? Avreste lanciato un’idea come Facebook o Alibaba? Oppure avreste avviato un progetto sociale per aiutare le persone a entrare nei nuovi lavori digitali? Ecco, oggi con l’intelligenza artificiale ci troviamo esattamente in quel tipo di momento. L’IA sta per ridisegnare da zero il mondo del lavoro, ma ci offre anche gli strumenti per adattarci, innovare, creare valore. Sì, è un momento difficile. Sì, può far paura. Ma è anche un momento di straordinarie possibilità. E ciò che farà davvero la differenza sarà la storia che ognuno sceglierà di raccontare a sé stesso”.

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