M&A; 2025, meno clamore, più strategia: l’arte della prudenza nell’era dei dazi
C’era una volta il tempo delle grandi acquisizioni, dei “colpi di scena” miliardari, dei mega-deal annunciati con orgoglio. E forse quel tempo non è del tutto finito, ma il 2025, stando al report “M&A Sentiment Index – Midyear Update 2025” di Boston Consulting Group, segna una nuova stagione per il mercato M&A: più strategia, meno clamore. Se l’anno si era aperto sotto buoni auspici – elezioni concluse, tassi d’interesse più chiari, capitali in cerca di sbocchi – a spegnere l’entusiasmo ci hanno pensato i dazi americani e la volatilità che ne è derivata. L’indice globale Bcg sul sentiment M&A è scivolato a quota 63, il 37% sotto la media storica. Un segnale chiaro: si naviga a vista.
Europa: la fiducia risale e batte gli Stati Uniti
Eppure, tra i mercati che sembrano aver assorbito meglio la scossa c’è proprio l’Europa. A giugno 2025, il sentiment ha raggiunto quota 85, superando quello nordamericano per la prima volta in due anni. Un risultato significativo, anche perché frutto di una nuova attrattività agli occhi degli investitori, proprio mentre gli Stati Uniti appaiono zavorrati dall’incertezza geopolitica. I settori più dinamici nel vecchio continente sono quello finanziario e assicurativo, che continuano ad attirare operazioni. In Svizzera, ad esempio, Helvetia ha acquisito Baloise. Un segnale che, nonostante un calo del 14% del valore complessivo delle operazioni (201 miliardi di dollari nel primo semestre), l’Europa sa ancora fare sistema, puntando su resilienza e stabilità.
Italia: tra prudenza e segnali di movimento
Se in Europa il sentiment M&A è in risalita, in Italia la fotografia tracciata rapporto di Bcg è più cauta. L’unica operazione citata è l’offerta pubblica di scambio lanciata da Banca Monte dei Paschi su Mediobanca, definita dal Consiglio di Amministrazione di Piazzetta Cuccia “ostile” e “priva di razionale industriale”, con un corrispettivo giudicato non congruo.
Fuori dal perimetro della ricerca Bcg, ma comunque indicativa di un interesse rinnovato, c’è l’acquisizione di Carrefour Italia da parte di New Princes Group, che rientra nella logica di valorizzazione di asset sottovalutati. E si muove anche il dossier Mediobanca–Banca Generali, con un negoziato commerciale aperto con Generali: se andasse in porto, potrebbe segnare un’inversione di tendenza per il mercato italiano.
I numeri non mentono
Nel mondo, il valore totale delle operazioni di M&A nel primo semestre dell’anno ha raggiunto 1.100 miliardi di dollari, con un lieve calo del 2%. Il Nord America continua a dominare, con gli Stati Uniti che da soli generano il 62% del valore globale (685 miliardi). L’Asia-Pacifico, invece, soffre: –43%, e un sentiment al minimo storico. Il rischio regolatorio e le tensioni politiche fanno il resto. A livello settoriale, il comparto industriale si è ripreso (+62%), seguito da energia (+54%) e sanità (+23%). In crisi nera, invece, i beni di consumo e il settore materiali (–50% e –49%).
Anche se le grandi operazioni non mancano, come l’acquisizione da 47 miliardi di dollari di TikTok US da parte di Rasner Media, o la mossa di Toyota per comprare Toyota Industries, lo scenario è cambiato. Le grandi manovre esistono, ma sono il risultato di valutazioni chirurgiche. I private equity restano attivi, spinti dalla necessità di investire la liquidità accumulata, mentre i fondi alle startup restano alla finestra, con l’eccezione (inevitabile) dell’intelligenza artificiale. In questo contesto, l’esperienza torna a essere un fattore decisivo.
Audacia sì ma con metodo
In un contesto volatile come quello del 2025, non basta aspettare che il mercato si stabilizzi. I dealmaker di lungo corso – quelli che hanno già attraversato più di una tempesta – riescono a creare quasi il doppio del valore rispetto alle operazioni concluse in tempi di stabilità. La loro rotta è chiara: puntare su operazioni coraggiose ma strategicamente fondate, con sinergie concrete e sostenibili; importante pianificare per scenari alternativi ed essere pronti sia ad acquisire sia a dismettere, con strutture flessibili come acquisizioni a tappe, joint venture e clausole earn-out.
Non è tempo per operazioni statiche o da manuale: bisogna cercare asset resilienti ma sottovalutati, tenere conto dell’inasprimento della vigilanza regolatoria (specie per i deal cross-border) e saper integrare rapidamente le competenze digitali, l’intelligenza artificiale e la leva Esg nella visione strategica. Perché oggi, più che mai, la differenza non la fa chi compra ma chi sa integrare, adattare e accelerare.
*direttore di Markup e Gdoweek
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