Mercato del petrolio: domanda in calo, offerta incerta e prezzi sotto pressione

Il mercato petrolifero naviga a vista, stretto tra un’economia mondiale in rallentamento, nuove tensioni commerciali e segnali contrastanti sul fronte dell’offerta. L’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha rivisto al ribasso le stime di crescita della domanda per il 2025, ora attesa a +730 mila barili al giorno, con un taglio di 300 mila rispetto alle proiezioni precedenti. Per il 2026, le previsioni si abbassano ulteriormente a +690 mila barili al giorno.

La revisione riflette un deterioramento del contesto macroeconomico, influenzato dall’aumento dei dazi – in particolare da parte degli Stati Uniti – e da una crescente incertezza geopolitica. Il rischio che le tensioni commerciali possano sfociare in una vera e propria frenata globale pesa anche sulla fiducia dei mercati energetici. Paradossalmente, il primo trimestre dell’anno aveva mostrato segnali di vitalità, con una crescita della domanda di +1,2 milioni di barili al giorno su base annua, il ritmo più sostenuto dal 2023. Ma il contesto si è rapidamente incrinato. Sul versante dell’offerta, la produzione mondiale è salita a marzo di 590 mila barili al giorno, toccando i 103,6 milioni.

A guidare la crescita sono stati soprattutto i Paesi non Opec+, con aumenti significativi da Stati Uniti, Brasile e Guyana. Nonostante l’annuncio dell’Opec+ di un aumento dei target produttivi di 411 mila barili al giorno da maggio, è probabile che l’incremento effettivo sia inferiore, viste le già evidenti sovraproduzioni da parte di alcuni membri (come Kazakistan e Iraq).

Il quadro è reso ancora più complesso dalla dinamica dei prezzi. Dopo una fase relativamente stabile, tra marzo e aprile il brent è sceso bruscamente sotto i 60 dollari al barile – toccando i minimi da quattro anni – prima di stabilizzarsi intorno ai 65 dollari. Il calo è stato innescato dalla prospettiva di un’offerta più ampia e dalle ripercussioni negative delle misure protezionistiche americane.

Le ricadute non si sono fatte attendere: secondo il Dallas Fed Energy Survey, molte compagnie di shale oil statunitensi necessitano di un prezzo medio di almeno 65 dollari per operare in profitto. Con i margini sotto pressione e nuovi dazi che colpiscono acciaio e componentistica, le prospettive di investimento si fanno più caute. L’Aie ha rivisto al ribasso la crescita dell’offerta Usa per il 2025, portandola a +490 mila barili al giorno.

Sul medio termine, però, la capacità di espansione dell’offerta resta solida, con un +1,2 milioni di barili al giorno previsto per il 2025 e +960 mila nel 2026. Oltre ai big tradizionali, si affacciano nuovi protagonisti come Guyana e Brasile, grazie allo sviluppo di progetti offshore.

Nel frattempo, le scorte globali sono in aumento (+21,9 milioni di barili a febbraio), ma restano vicine al fondo della media quinquennale. Un indicatore che suggerisce un mercato ancora fragile e vulnerabile a sbilanciamenti improvvisi.

In sintesi, le condizioni attuali preannunciano mesi volatili: la direzione del mercato dipenderà dall’evoluzione dei negoziati commerciali, dalla tenuta della crescita globale e dalla capacità dell’Opec+ di mantenere la disciplina produttiva. In un contesto così incerto, la visibilità per investitori e analisti resta limitata – e la cautela torna protagonista.

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