Nel voto Usa è in gioco anche l’Europa

Già il titolo della conferenza a Washington parlava da solo: “Dove il globalismo va a morire”. Quando poi l’organizzatore della Conservative Political Action Conference, Matt Schlapp, è salito sul palco per introdurre Donald Trump alla kermesse dei suoi fedelissimi, tutto è diventato cristallino: «Alzate la voce. Fatevi sentire da quelli dell’Unione Europea, l’Onu e tutte le altre organizzazioni internazionali. Devono capire che per loro è finita». Non ha pronunciato la parola “pacchia”, come avrebbe fatto Giorgia Meloni prima di diventare premier, ma il disegno è trasparente. Gli europei devono smettere di tenere la testa sotto la sabbia e capire che il loro disegno continentale sarà in gioco nelle Presidenziali Usa del 5 novembre. Perché già nel 2016 Trump aveva sfidato Bruxelles, che considerava avversario da smembrare, nella certezza di avere una mano più forte misurandosi con i singoli Stati del Vecchio continente. Allora non ci era riuscito, ma se dovesse tornare alla Casa Bianca ci riproverà, con il doppio dell’energia e la metà dei freni.

Biden e Trump si sfidano sull’immigrazione, al confine con il Messico lo scontro che dominerà le Presidenziali

L’atterraggio morbido dell’economia americana sembra ormai in corso, anche se c’è chi teme un ritorno dell’inflazione, e gli analisti si chiedono se gli effetti positivi si faranno sentire in tempo per aiutare Joe Biden a vincere. La crescita viaggia sopra il 3%, l’inflazione pare in calo verso l’obiettivo Fed del 2%, la disoccupazione è ferma al 3,7%. Secondo i dati della University of Michigan, a gennaio la fiducia dei consumatori è salita del 13%, balzo più alto dal 2021, da novembre è aumentata del 29%, il rialzo più forte da 30 anni. A Wall Street gli indici hanno fatto registrare un record dietro l’altro, arricchendo un largo segmento della popolazione. Il prezzo della benzina è sceso del 40% da giugno 2022 a oggi e le domande per i sussidi di disoccupazione sono calate al livello più basso dell’ultimo anno. Sulla base di questi dati, economisti e politici scommettono sull’atterraggio morbido dopo il Covid, ossia la fine dell’inflazione senza pagarla con recessione e disoccupazione. Prevedono che la Fed inizierà a tagliare i tassi entro fine 2024, al punto che Trump l’ha già accusata di fare il gioco di Biden per aiutare la sua rielezione.

Il Pil statunitense trimestre per trimestre

L’economia americana che corre è una buona notizia per tutto il mondo, perché può fare da locomotiva. Gli europei però dovrebbero guardare i suoi effetti anche alla luce dei sentimenti di rivalsa, emersi la settimana scorsa alla conferenza Cpac di Washington. Trump li porterà con sé alla Casa Bianca, se riuscirà a tornarci, col suo abituale bagaglio protezionistico, che stavolta prevederebbe una dazio fisso del 10% su tutti i prodotti importati negli Usa.

Già nel primo mandato aveva chiarito la sua posizione. Noi in Europa spesso sfottevamo il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, quando si aggirava incerto sui palcoscenici globali, per l’età o magari altro. Trump invece lo rispettava e lo considerava una bestia nera, perché quando negoziava con lui commerci e tariffe non la spuntava mai. Come ambasciatore alla Ue voleva mandare Ted Malloch, nemico dichiarato dell’integrazione continentale, e solo le resistenze del “deep state” erano riuscite a fermarlo. Non sarà così nell’eventuale secondo mandato, perché il Project 2025 dell’Heritage Foundation che sta già preparando la transizione, seleziona apposta solo candidati fedelissimi che non muoveranno un dito per ostacolare i voleri del capo.

L’ostilità di Donald nei confronti dell’Unione si è nel frattempo anche rafforzata, in particolare per la guerra in Ucraina, che ha rilanciato i sospetti mai risolti dall’inchiesta del “Russiagate” sui motivi profondi della sua ammirazione per l’autocrate del Cremlino. Secondo quanto ha insinuato l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, dipende dagli interessi economici: «Non sono sicura di cosa abbia Putin su Trump per influenzarlo, ma penso che probabilmente sia una questione finanziaria».

Donald ha lamentato che gli Usa pagano la resistenza ucraina dall’invasione russa, anche se in realtà gli europei hanno dato più degli americani. Ma questo lamento populista funziona bene con la pancia isolazionista dei suoi elettori, e quindi lui continua a ripeterlo, indipendentemente dalla verità, che ormai è facoltativa nella campagna elettorale del tycoon. Anche perché si lega alle proteste contro il fatto che gli europei non investono abbastanza nella difesa. Queste critiche sono più sostanziate, infatti anche Obama aveva rimproverato i “free riders”, cioè gli scrocconi della Nato che non rispettano l’impegno preso a Cardiff di investire il 2% del Pil nella reciproca protezione. Trump però si è spinto a minacciare di lasciare soli gli alleati, davanti ad un attacco di Mosca, anzi esortandola ad aggredire chi non paga.

I suoi amici sostengono che in realtà non vuole abbandonare o distruggere l’Alleanza, ma sta compiendo solo un’operazione elettorale. Le aziende di quello che Eisenhower definiva il “complesso militare industriale”, tipo Lockheed Martin, Northrop Grumman, General Dynamics o Boeing, impiegano oltre 350 mila lavoratori in diversi Stati chiave per le Presidenziali, quindi lui sta cercando di conquistarne i voti.

Sarà pure così, però intanto l’incitamento a Putin di attaccare gli amici europei scuote gli equilibri globali. E anche se fosse nel giusto, e la Germania avesse davvero “rubato” agli Usa 500 miliardi di dollari in mancati investimenti nella difesa, la domanda da porgli sarebbe questa: negli ultimi 79 anni, Washington ha guadagnato più o meno di 500 miliardi grazie all’alleanza con Berlino, la stabilità generata dalla Nato, e gli enormi scambi commerciali che ciò ha consentito con l’Europa?

Trump poi ignora, o finge di non sapere, che la guerra in Ucraina aiuta l’economia americana, come peraltro aveva fatto la Seconda Guerra mondiale, che per molti studiosi fu il fattore di crescita capace di mettere fine alla Grande Depressione. Il Wall Street Journal ha notato che dall’inizio del conflitto la produzione industriale nei settori difesa e spazio è aumentata del 17,5%, per non parlare dell’export di energia.

Se però la verità è la prima vittima delle guerre, altrettanto lo è delle campagne elettorali, soprattutto quando uno dei candidati si chiama Trump. L’Europa non deve dimenticarlo, mentre nei prossimi mesi osserverà l’andamento dell’economia americana, tenendo presente che potrebbe decidere non solo il prossimo inquilino della Casa Bianca, ma anche la sua sopravvivenza.

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