Perché il fondo ha cambiato nome? Che fine ha fatto l’Esg?
Nei mesi successivi alla pubblicazione delle Linee Guida dell’ESMA sui nomi dei fondi, l’industria europea dell’asset management ha avviato una vera e propria ondata di rebranding. I dati parlano chiaro: dei 5.354 fondi classificati come Articolo 8 e 9 nel database di MainStreet Partners, 1.639 rientrano nel campo di applicazione delle linee guida, di cui 541 Articolo 9 e 1.098 Articolo 8.
La stragrande maggioranza di questi è soggetta alle esclusioni previste dai Paris-Aligned Benchmark (PAB), che riguardano rispettivamente 487 e 970 fondi. Tuttavia, il vero impatto non risiede tanto nelle esclusioni, quanto nei nomi.
La grande rimozione
In totale, 700 fondi hanno modificato il proprio nome dall’annuncio delle linee guida, e il 90% di questi è rappresentato da fondi Articolo 8. L’asimmetria è evidente e suggerisce che, mentre i fondi Articolo 9 erano in larga misura già allineati, gli Articolo 8, più esposti al rischio di “greenwashing”, sono stati costretti ad adeguarsi a requisiti più severi. In tutto, 21 fondi Articolo 9 e 405 fondi Articolo 8 hanno rimosso almeno un termine legato alla sostenibilità dal proprio nome, mentre rispettivamente 48 e 226 lo hanno aggiunto.
In breve, questo rafforza quanto già osservato: la rimozione di termini è molto più diffusa tra i fondi Articolo 8 e avviene con una frequenza doppia rispetto alle aggiunte, mentre i fondi Articolo 9 mostrano un andamento opposto, essendo già conformi.
Il termine più rimosso? “ESG”, eliminato da 291 fondi, seguito da “Sustainable”, cancellato da 161 fondi.
Tra le poche aggiunte figurano parole come “ESG”, “Screened” e “Transition”, ma con frequenze molto inferiori, segno di una ricalibrazione strategica e regolamentare più che di un abbandono.
Perché sta accadendo
Questo cambiamento è la risposta diretta al tentativo dell’ESMA di limitare l’uso improprio del linguaggio legato alla sostenibilità. Le linee guida stabiliscono che qualsiasi fondo che utilizzi termini come “ESG”, “Sustainable”, “Impact” o “Transition” debba destinare almeno l’80% degli investimenti alla promozione di caratteristiche ambientali o sociali e, se dichiara di essere “sostenibile”, investire in misura significativa in questo tipo di investimenti. Inoltre, tali fondi devono rispettare le severe esclusioni previste dai benchmark PAB o CTB, che vietano l’esposizione a tabacco, combustibili fossili, carbone e aziende che violano i principi ONU o OCSE.
In pratica, questo significa che molti fondi, soprattutto tra gli Articolo 8 con screening ESG parziali, non avrebbero più i requisiti per mantenere tali nomi senza una costosa ristrutturazione del portafoglio. Il risultato? Molti gestori hanno preferito la soluzione più semplice: rimuovere il termine.
Uno shock regolamentare
Ciò che stiamo osservando è una sorta di “pulizia semantica” del panorama dei fondi europei. Se da un lato l’obiettivo dell’ESMA è rafforzare la protezione degli investitori e la coerenza del mercato, dall’altro l’effetto collaterale è un apparente arretramento del branding legato alla sostenibilità.
Nel breve periodo, questo potrebbe paradossalmente far apparire il mercato meno sostenibile, con centinaia di fondi che perdono la dicitura ESG pur mantenendo lo stesso approccio d’investimento.
Tuttavia, ciò non significa un passo indietro nella finanza responsabile, ma piuttosto la fine di un’era di marketing e l’inizio di una fase guidata dalla conformità, in cui le parole devono riflettere la sostanza.
Oltre il nome: la nuova strategia
Gli asset manager stanno ora ridefinendo il proprio posizionamento: alcuni si stanno orientando verso strategie “Transition”, che restano compatibili con le esclusioni CTB ma offrono maggiore flessibilità; altri puntano su metriche proprietarie e framework di allineamento agli SDG, meno dipendenti dalle definizioni ESMA. Infine, i più grandi, soprattutto con fondi Articolo 9, rafforzano la trasparenza dei dati e i report di allineamento alla Tassonomia UE.
Questo cambiamento riflette un più ampio processo di consolidamento normativo in Europa: la proposta della Platform on Sustainable Finance di introdurre una classificazione in tre categorie (Sustainable, Transition, ESG Collection) tenderà a standardizzare ulteriormente la classificazione dei fondi.
Morte (e rinascita) dell’ESG
L’ESMA non sta “uccidendo” l’ESG, lo sta facendo maturare. La rinuncia ai termini “ESG” e “Sustainable” nei nomi dei fondi non rappresenta un arretramento, ma un passo verso una maggiore credibilità.
La sfida ora è garantire che gli investitori comprendano che dietro meno parole “green” può celarsi un’integrazione della sostenibilità più solida. Quello che emerge è un settore in transizione: dal dichiarare l’ESG al dimostrarlo. E, se le parole stanno scomparendo, forse è perché la vera sostenibilità non ha più bisogno di gridarlo.
*Research Associate at MainStreet Partners
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