Proteine alternative: un mercato da 240 miliardi di euro entro il 2034
Il futuro del cibo è in fermento, letteralmente. Dagli Stati Generali delle Proteine Alternative tenutisi a Milano, emerge un quadro chiaro: il settore delle alternative vegetali è in piena ascesa. Oggi vale 90,5 miliardi di dollari e punta a crescere fino a 238,7 miliardi di dollari a livello globale entro il 2034, con un tasso di crescita annuo del 9,8%. Un mercato che, pur spinto da un’ondata di innovazione senza precedenti, si scontra con il “paradosso del piatto”: la diffidenza del consumatore, che chiede più gusto e naturalezza. La chiave per sbloccare questo potenziale è un dialogo tra alta tecnologia e la tradizione culinaria.
Meno carne nel piatto
Il cambiamento è già in atto: il 51% degli europei e il 59% degli italiani ha ridotto il consumo di carne, motivato principalmente da ragioni di salute (47%) e sostenibilità (26%). Parallelamente, cresce la vendita di alimenti plant-based, che in Italia ha raggiunto nel 2024 639 milioni di euro, con un aumento del 16,4% rispetto al 2022. Le alternative vegetali al formaggio hanno raddoppiato il proprio valore in soli due anni (+100%), segno di un interesse sempre più concreto da parte dei consumatori.
Ma la crescita del comparto non dipende solo dall’innovazione tecnologica. Come spiega Maurizio Bettiga, ideatore degli Stati Generali e chief innovation officer di Italbiotec, “la chiave del successo non è soltanto la tecnologia, ma la capacità di costruire ponti tra innovazione e tradizione, coinvolgendo tutta la filiera dalla ricerca alla cucina. Solo così si può rendere la transizione alimentare desiderabile e accessibile”.
L’Italia guida la ricerca
L’Italia si conferma leader europeo nella ricerca sulle proteine alternative, con 633 ricercatori attivi, davanti a Germania e Paesi Bassi. Negli ultimi cinque anni, i finanziamenti pubblici europei destinati al settore sono quasi triplicati, raggiungendo 318 milioni di euro. Un dato che evidenzia la centralità della ricerca nel ripensare la produzione alimentare in chiave sostenibile. “Ma serve anche un cambio culturale: agricoltori e chef devono diventare ambasciatori di questo nuovo dialogo tra laboratorio e tavola”, aggiunge Bettiga.
Il ruolo chiave della fermentazione
Fra le tecnologie più promettenti, un ruolo chiave spetta alla fermentazione, processo antico che torna oggi protagonista per migliorare gusto, texture e valore nutrizionale dei prodotti. La cosiddetta fermentazione di precisione permette, ad esempio, di produrre ingredienti mirati come l’emoglobina vegetale per i burger e ha attirato oltre 100 milioni di euro di investimenti nel solo 2024. Quasi un consumatore su due in Europa e negli Stati Uniti si dichiara disposto a provare alimenti derivati da questa tecnologia, a condizione che vi sia maggiore trasparenza e informazione sul processo produttivo.
Il fattore umano: gusto e naturalezza
Nonostante la spinta della ricerca, resta aperta la sfida più complessa: quella del gusto. Studi presentati dall’ETH di Zurigo mostrano che la familiarità è il fattore determinante nella scelta dei consumatori. Le alternative percepite come “naturali”, per esempio piselli, patate, riso e lenticchie, sono le più accettate, mentre insetti, alghe e carne coltivata continuano a suscitare diffidenza. “Le persone scelgono ciò che conoscono. Il nostro compito è rendere le innovazioni riconoscibili, rassicuranti e buone”, riassume Bettiga, sintetizzando la filosofia emersa dal summit.
La sfida, dunque, non è solo tecnologica, ma culturale ed etica: unire innovazione e gusto, industria e agricoltura, ricerca e tradizione. Perché la transizione verso le proteine alternative non sia solo una rivoluzione industriale, ma un’evoluzione del modo in cui pensiamo e costruiamo il cibo del futuro.
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