Quando l’IA in azienda genera profitti: la ricetta per il successo
Tutti ne parlano, tanti ci provano, pochissimi hanno capito la formula magica per fare funzionare l’intelligenza artificiale (IA) in azienda. Quella con cui si possono cogliere i “fantastici” guadagni e risparmi promessi dalle big tech che la vendono. Gli studi, internazionali e italiani, cominciano a mettere a fuoco questa realtà dei fatti: avere vantaggi aziendali dall’IA è possibile ma difficilissimo e ancora non è molto chiaro come.
L’ha chiarito uno studio molto citato nei giorni scorsi, del celebre Massachusetts Institute of Technology (Mit), secondo cui solo il 5% dei progetti di IA al mondo porta vantaggi; ergo il 95% sono stati uno spreco di soldi. «Non mi stupisce il dato. Lo vediamo nei tanti casi di aziende italiane che stiamo studiando: solo poche sperimentano l’IA con soddisfazione», spiega Giovanni Miragliotta, co-direttore dell’osservatorio AI del Politecnico di Milano. Da notare non solo quel “poche”, ma anche “sperimentano”: siamo comunque in una fase iniziale nella ricerca di quei vantaggi.
Cosa dice veramente il Mit
Chiariamo subito due equivoci. Primo: qui si parla dell’IA generativa, ossia di quella ora più popolare e innovativa (da Chatgpt in poi). Già da molti anni le aziende usano con successo un’IA più tradizionale, basata su analisi di dati, previsioni, supporto alle decisioni, automazione di processi semplici e ripetitivi. Secondo: a essere evanescenti sono i vantaggi per le aziende.
Lo stesso studio Mit riconosce che le persone utilizzatrici dell’IA generativa – a casa o anche sul lavoro – riportano grande soddisfazione, soprattutto in termini di risparmi di tempo. Un paradosso, nota il Mit: i dipendenti sono contenti e le aziende no. Il punto è che gli utenti usano con profitto personale Chatgpt e simili, ma le aziende hanno bisogno – per trasformare l’IA in valore reale – di automatizzare i processi, migliorare la produttività generale. Ed è qui che casca l’asino. Eppure, gli ingredienti per una IA utile alle aziende cominciano a emergere, anche se sono poco noti.
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Le regole per avere successo
La prima regola secondo il Mit è non cercare di costruire tutto internamente. I progetti sviluppati solo dentro l’azienda falliscono con una frequenza doppia rispetto a quelli portati avanti in partnership con un fornitore. La seconda regola è partire in piccolo, ma con processi ad alto valore. Come l’automazione di contratti, la sintesi delle chiamate o la classificazione documentale, dove il valore si può misurare rapidamente. Questi successi iniziali, ottenuti con basso sforzo e ritorni immediati, diventano la base per scalare gradualmente verso processi più strategici.
Il terzo elemento della formula è sviluppare con il fornitore sistemi IA che imparino, ricordino e si adattino. Il vero ostacolo non è la qualità dei modelli di linguaggio, ma la loro incapacità di mantenere memoria e adattarsi al contesto. Fondamentale è anche l’integrazione nei flussi esistenti. Un’IA che non si collega al Crm, al gestionale o agli strumenti quotidiani è destinata a restare inutilizzata. A livello organizzativo, le esperienze di successo dimostrano che l’adozione parte spesso dal basso, dai cosiddetti power users: dipendenti che già sperimentano con Chatgpt o Claude a titolo personale e che conoscono bene i limiti e i vantaggi dell’IA.
Le aree su cui investire
Infine, un aspetto spesso trascurato riguarda la scelta delle aree su cui investire. La maggioranza delle aziende concentra i budget di IA su marketing e vendite, perché lì è più facile mostrare risultati immediati. I ritorni più significativi e duraturi arrivano però dai processi di back office: automazione amministrativa, procurement, gestione documentale, riduzione dei costi di bpo (l’esternalizzazione di servizi) e consulenza esterna.
«Le aziende italiane riscontrano i primi vantaggi dell’IA per la capacità di rendere più accessibili e usabili i documenti aziendali. Vantaggi qualitativi, però, non quantificabili in valore economico», spiega Miragliotta. «Alcune poi sono soddisfatte per l’automazione dei processi tramite l’IA e parlano di migliaia di ore-uomo risparmiate, ad esempio grazie a help desk con chatbot».
Ma sono casi dibattuti solo a porte chiuse con gli analisti. Le aziende non vogliono comparire. Primo perché siamo ancora in una fase di studio, secondo perché ci sono remore ad apparire come quelle che hanno sostituito lavoro umano con l’IA. «Scegliere bene i fornitori, fare una buona formazione interna, avere una cultura aziendale votata all’innovazione, ascoltare il cliente impattato dall’IA. Questa è la ricetta che diamo, ma non può essere banalizzata», spiega Miragliotta. Non è banale il fatto stesso di mettere l’IA in azienda. Pochissimi ci riescono e anche loro sono solo all’inizio di un percorso che – forse – cambierà il mondo.
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