Regno Unito: famiglie e imprese pagheranno il conto della cattura e dello stoccaggio di carbonio
Il costo colossale dei progetti britannici di cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs) lo pagheranno contribuenti e consumatori di elettricità. A denunciarlo è un nuovo studio dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa), secondo il quale la maggior parte dei costi del Css sarà scaricata sui consumatori, proprio mentre famiglie e imprese lottano contro prezzi energetici alle stelle. Il problema di fondo? Per gli inquinatori non c’è alcun reale incentivo economico a installare impianti Ccs: il prezzo del carbonio è troppo basso per spingerli a investire. Risultato: servono ingenti sussidi pubblici per provare a centrare gli obiettivi governativi. Finora, si legge nello studio, sono già stati destinati oltre 50 miliardi di sterline in sussidi a progetti Ccs che, sommati, coprono appena l’8% dell’obiettivo nazionale per il 2050. “Considerata l’immaturità tecnica del Ccs e il suo storico di sforamenti di budget, quei 50 miliardi di sterline sono probabilmente solo la punta dell’iceberg”, avverte Andrew Reid, analista dell’Ieefa e autore del rapporto.
Secondo Reid, il governo non ha nemmeno valutato in modo trasparente l’impatto finanziario del sostegno al Ccs sui contribuenti. “Intanto, gli inquinatori restano impuniti grazie alla gestione fallimentare del prezzo del carbonio, che continuerà a far diminuire le entrate del sistema nazionale di scambio delle emissioni”, rincara la dose l’analista. Le stime del Comitato britannico sui cambiamenti climatici prevedono che la fetta maggiore del Ccs sarà usata per le cosiddette “rimozioni ingegnerizzate”, come la bioenergia con cattura del carbonio o la cattura diretta dall’aria: queste soluzioni, le più costose, rappresenteranno il 45% dell’obiettivo Ccs al 2050.
Il conto totale? Installare e gestire infrastrutture Ccs nel Regno Unito potrebbe costare 408 miliardi di sterline entro il 2050. Serviranno in media 5 miliardi di sterline all’anno già entro il 2030, cifra destinata a quadruplicare a 19 miliardi all’anno tra il 2031 e il 2050. A questi costi enormi si sommano i rischi commerciali e l’incertezza tecnologica: molte delle applicazioni previste non sono nemmeno collaudate su larga scala. Lo stesso Comitato sui cambiamenti climatici ammette che “le incertezze sui tassi di cattura del Ccs cresceranno costantemente dal 2035 e diventeranno un fattore di rischio significativo nel 2050”.
Reid avverte: “C’è il rischio concreto che questi progetti non funzionino come promesso e non riescano a catturare i volumi di CO2 previsti. È già successo nei pochi progetti pilota realizzati a livello globale. Il governo dovrebbe imparare da questi fallimenti ed evitare di destinare risorse enormi al Ccs a scapito di alternative più efficaci per arrivare davvero a zero emissioni nette”.
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