Ritratto della Generazione AI: iperconessi, si sentono sotto pressione per le aspettative sociali

Non sono solo nativi digitali: sono cresciuti nell’era dell’intelligenza artificiale, in un mondo dove l’algoritmo conosce i loro gusti prima ancora che li esprimano. Ragazze e ragazzi delle scuole medie e superiori, dai 12 ai 18 anni, oggi formano una vera e propria “Generazione AI”: cresciuta a colpi di swipe, suggestionata dai feed personalizzati, immersa in un ecosistema iperconnesso che plasma identità, pensiero critico e anche, inevitabilmente, consumi.

La ricerca condotta da Ipsos per Fondazione Conad, presentata lunedì 16 giugno, ci restituisce un ritratto tridimensionale e sfaccettato di questa generazione: informata, sensibile, ma anche fragile, esposta a stimoli continui e in cerca di ancoraggi sicuri. Sul piano valoriale, i numeri sono chiari: il 74% di questi adolescenti si dice pronto a fare la propria parte per il bene comune e il 69% manifesta preoccupazione per il futuro del pianeta. Eppure, questa tensione ideale convive con un disagio crescente: quasi 6 su 10 dichiarano di sentirsi sotto pressione, stretti tra performance scolastiche, aspettative sociali e l’immagine (perfetta) da restituire online.

Anche il rapporto con il sesso e con l’altro o l’altra rispecchia il cambiamento profondo di questa generazione. L’educazione sentimentale della Generazione AI passa, spesso, più da TikTok che da scuola o famiglia. Il linguaggio è più inclusivo, i confini identitari più fluidi, l’approccio più mentale che fisico. Non è disinteresse, ma ricalibrazione. Secondo la ricerca Ipsos per Fondazione Conad, i giovanissimi e le giovanissime manifestano una maggiore cautela nei confronti della sfera sessuale rispetto alle generazioni precedenti: meno pressioni, più attenzione al consenso, più spazio per il rispetto dell’altro… chiunque sia. L’intimità viene cercata in forma relazionale prima ancora che corporea e le emozioni contano quanto (e forse più di) qualsiasi gesto.

Nel tempo della sovraesposizione, questa generazione sceglie l’esplorazione emotiva come primo terreno di conoscenza. E così, tra relazioni liquide, amicizie che durano una chat e identità che si definiscono nel tempo, la ricerca dell’altro è sempre anche una ricerca di sé. Il sesso non è più solo esperienza, ma anche narrazione: da condividere, proteggere o rivendicare, sempre con consapevolezza. Un cambiamento silenzioso, ma profondo, che dice molto su come la Generazione AI stia riscrivendo (a modo suo) anche i codici più intimi della crescita.

Ed è qui che entra in gioco il fattore social. E non come sfondo, ma come spazio primario di costruzione del sé. Instagram, TikTok, YouTube, e in misura crescente Discord e BeReal: sono i luoghi in cui questa generazione si esprime, si mette alla prova, si confronta… e si giudica. Secondo i dati Ipsos, l’uso quotidiano dei social è ormai la norma: oltre l’80% dei giovani li utilizza ogni giorno e, più della metà, ammette di trarre ispirazione o modelli comportamentali da ciò che vede online. Ma non si tratta solo di intrattenimento. I social sono, per loro, anche veicoli di informazione, attivismo, confronto valoriale. Un ecosistema fluido in cui si ridefiniscono le regole del consumo, dell’identità, della relazione con il mondo adulto. Ed è proprio qui che si misura la loro intelligenza critica: la Generazione AI è perfettamente in grado di riconoscere contenuti finti, pubblicità camuffate, messaggi costruiti. Cerca autenticità, spontaneità, vulnerabilità. Valuta la reputazione dei brand attraverso il passaparola digitale e penalizza chi non rispetta i suoi codici.

Eppure, questo protagonismo online convive con un senso di solitudine diffusa: il 45% dice di sentirsi spesso inadeguato a causa dell’immagine che i social restituiscono della “vita perfetta”. Ed è proprio qui che emergono i segnali di una fragilità nuova, non patologica ma strutturale, con cui marketing, educazione e istituzioni dovranno imparare a fare i conti.

Sul versante dei consumi, infatti, questi giovani dimostrano una sorprendente coerenza. Non si lasciano sedurre dalle promesse facili, vogliono vedere l’impatto reale dei loro acquisti. Sostengono brand che prendono posizione ma solo se lo fanno con coerenza. Il 62% dichiara di preferire prodotti sostenibili e il 58% dice di informarsi prima di acquistare qualcosa, anche nei piccoli gesti quotidiani. Sono giovani che ascoltano chi ha il coraggio di mostrarsi vulnerabile, chi sa raccontare storie vere, chi apre spazi di dialogo. Una generazione che, pur essendo ancora “in formazione”, ha già definito i suoi confini valoriali: inclusione, empatia, rispetto per l’ambiente, trasparenza. E che attraverso i social, per quanto criticati, cerca ogni giorno uno specchio in cui riconoscersi.

Il marketing, se vuole parlare con loro, dovrà dismettere maschere e filtri, abbandonare le campagne patinate e aprirsi a una comunicazione onesta, empatica, orizzontale. Perché questa generazione non chiede di essere conquistata: chiede di essere capita. La Generazione AI è fragile, ma lucidissima. È immersa nei social, ma cerca autenticità. È bombardata da input, ma capace di orientarsi. È il presente, non solo il futuro. E ci sta già insegnando, silenziosamente, un nuovo modo di abitare il mondo.

*direttore di Markup e Gdoweek

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