Cardinale Nemet: “Russi, americani e cinesi vorrebbero indebolire l’Unione europea”
Russi, americani e cinesi lavorano per “distruggere” l’Unione europea e ridurla ad un semplice mercato comune, e invece il mondo oggi ha bisogno dell’integrazione europea e di “un’idea di Europa, un’idea fatta non solo di tecnica ma di spiritualità, di valori”. Lo afferma il cardinale Ladislav Nemet, arcivescovo metropolita di Belgrado e dal 25 settembre 2021 vicepresidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa. L’invasione russa dell’Ucraina, spiega il porporato, ha “danneggiato molto” il dialogo tra cristiani, più necessario che mai in un mondo segnato da divisioni e populismi nazionalisti.
Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) e la Conferenza delle Chiese Europee (Cec) hanno appena approvato una versione aggiornata della Charta Oecumenica del 2001. Ma come sta oggi l’ecumenismo? L’invasione russa dell’Ucraina ha rischiato di uccidere il dialogo ecumenico in Europa?
“Lo ha molto danneggiato. Quando si è fatta la prima Carta ecumenica del 2001, erano presenti anche i rappresentanti delle Chiese ortodosse bizantine e slave, oggi, 24 anni dopo, quando siamo arrivati alla firma della seconda, aggiornata edizione del documento, erano presenti soltanto i rappresentanti della Chiesa ortodossa greca. È una grande perdita per l’idea dell’ecumenismo. La guerra in Ucraina ha fatto danni grandissimi anche da questo punto di vista. La Chiesa ortodossa adesso è molto divisa, tra chi sta con il patriarcato di Mosca e più vicino al patriarca di Costantinopoli. La Chiesa ortodossa russa ha lasciato la collaborazione con la Cec alcuni anni fa e la Chiesa ortodossa serba ha sospeso la sua partecipazione tre anni fa, dopo che fu accettata la candidatura della nuova Chiesa indipendente ucraina. Ma il lavoro per l’unità della Chiesa non è uno sprint, e neanche una maratona: è un processo, come diceva papa Francesco, una lunga strada, ci vuole perseveranza, ci vuole fede, e ci vuole obbedienza alla parola che il Signore ha detto durante l’Ultima Cena, quando ha pregato per l’unità dei suoi discepoli. Un lavoro tanto più importante adesso che il mondo è diviso e la globalizzazione è messa in discussione dai grandi che vogliono fare un nuovo ordine mondiale”.
Da dove ricominciare allora?
“Secondo me dobbiamo evitare in questo momento discussioni sulla politica ecclesiale, sui temi dottrinali o sul ministero del Papa e concentrarci sui temi sui quali già lavoriamo insieme. Ad esempio, la questione dell’ecologia e della protezione del creato. O la comune esperienza di persecuzione subita da diverse Chiese, quello che papa Francesco ha definito l’ecumenismo del sangue. E poi dobbiamo continuare in un lavoro di comunicazione tesa a spiegare che se siamo aperti agli altri non perdiamo la nostra identità, un concetto da sottolineare in tempi di nuovi identitarismi”.
Nell’udienza che vi ha concesso papa Leone ha notato che molte comunità cristiane sentono di essere sempre più in minoranza: questa condizione può spingere verso l’identitarismo
“Il fenomeno lo conosciamo da quarant’anni almeno, e lo chiamiamo secolarizzazione, o dimenticanza di Dio. Come affrontare questo problema che ci tocca tutti? Come affrontare l’indifferenza nei confronti della religione? Tutte le Chiese cristiane in Europa sentono questa sfida e dovremmo presentare una risposta comune; non sprecare risorse umane e finanziarie per le guerre fra di noi ma fare di tutto per cercare come presentare di nuovo Cristo”.
Una sfida particolarmente difficile ora che diversi leader politici, Trump ma non solo, tentano di appropriarsi del cristianesimo in chiave neonazionalista
“Sono d’accordo. Non è una specificità cristiana, anche l’islam fa lo stesso. Ma per quanto ci riguarda, vuol dire che noi preti, vescovi, cardinali, non siamo riusciti a presentare bene la religione cristiana. Dobbiamo spiegare le cose in modo semplice. Molte volte siamo troppo complicati, troppo lontani dalla vita comune. Di papa Francesco mi colpiva che sapeva dire in una frase le cose che un cardinale ha bisogno di dieci minuti per dire! La maggioranza delle persone apprezza Trump quando dice: “Io difenderò i cristiani in Nigeria dai musulmani”. Ma per me questo riporta all’idea delle crociate. Dobbiamo essere chiari, anche sul tema della guerra. Come ha detto papa Leone, la guerra non risolve i problemi, non esiste una guerra santa, solo la pace è santa. Dobbiamo spiegare che le parole dei politici che dicono di essere grandi cristiani vanno accolte con spirito critico, non è quello il cristianesimo, quella è propaganda. Questo è un populismo molto pericoloso e sappiamo dalla storia anche recente, ad esempio quella della Seconda guerra mondiale, che le religioni possono rafforzare idee politiche sbagliate: pensiamo al sostegno che in Germania la Chiesa evangelica luterana ha dato al nazismo. Le religioni devono promuovere la pace anziché l’odio e la divisione. L’identità ci vuole: è importante conoscere chi sono, ma questo non può essere una fonte di barriere nei confronti degli altri. Ognuno ha una identità e possiamo lavorare insieme”.
Anni fa il cardinale Schoenborn ha detto che una cortina di ferro tra Europa dell’est e dell’ovest è rimasta, anche dentro la Chiesa: c’è ancora oggi?
“Penso che ci sia ancora una certa divisione tra i paesi post-comunisti e quelli che hanno una antica tradizione democratica. Nei paesi che hanno sperimentato il comunismo sovietico è ancora oggi importante avere un leader forte. In secondo luogo, in questi paesi la famiglia è un tema importantissimo e tanto le conferenze quanto la politica sono impegnati per sostenerla. In Europa occidentale la Chiesa è sensibile a questo tema ma la politica, nonostante la crisi demografica terribile, lo è di meno, sebbene in Francia, in Germania e anche in Italia si inizi a fare qualcosa al riguardo. Altra questione quella della sessualità: nei paesi occidentali l’accettazione delle persone con orientamento diverso è vista come uno sviluppo del concetto della democrazia e dei diritti umani mentre in molti paesi post-comunisti questo non è arrivato: non c’è neppure la possibilità di discutere, di spiegare gli argomenti. E infine c’è il tema dell’immigrazione: la maggior parte dei paesi post-comunisti ha assunto una posizione negativa nei confronti degli immigrati, purtroppo oggi la xenofobia si è estesa anche alle democrazie più anziane. Su questo oggi non ci sono divisioni in Europa, c’è una diffusa paura dei migranti, paura di perdere la propria identità e i posti di lavoro. Da una parte c’è bisogno di mano d’opera straniera e dall’altra non si accettano coloro che arrivano, e che devono lasciare il proprio paese a causa dei problemi ecologici, della povertà, delle guerre”.
A parte la questione dei migranti, lei descrive un dialogo tra sordi. Come affrontarlo? La risposta può essere il metodo sinodale di cui lei è stato anche protagonista in questi anni?
“Senz’altro in Europa abbiamo bisogno di conoscerci meglio. A febbraio del 2023 abbiamo avuto un’assemblea sinodale continentale a Praga, moltissimi delegati sono arrivati preoccupati di cosa sarebbe potuto succedere. E invece dopo quattro giorni di lavoro, stando insieme, siamo riusciti a decostruire certi schemi, certe paure non fondate. Questa forma ci aiuta veramente a capirci. Purtroppo, oggi nella Chiesa in Europa mancano un po’ personalità di spicco come potevano essere nel passato il cardinale Martini, il cardinale Vlk di Praga, il vescovo Ivo Fürer o monsignor Aldo Giordano. Ma abbiamo bisogno di personalità che abbiano un’idea di Europa, un’idea fatta non solo di tecnica ma di spiritualità, di valori. Valori che possiamo chiamare evangelici, l’amore, la fratellanza, e ancora il rispetto dei diritti umani, la libertà religiosa, lo Stato sociale. In altri continenti neppure immaginano di potere avere le vacanze garantite, l’assicurazione sociale. L’Europa ha molte cose buone che si potrebbero rafforzare”.
Quindi lei ha fiducia nelle istituzioni dell’Unione europea?
“Secondo me oggi la commissione europea è troppo anonima, non è abbastanza efficiente. Si occupa di problemi che non interessano la gente, fa regole su tutto, e non cerca invece di avvicinare i paesi membri, e anche i paesi che non sono membri. Ci sono spesso progetti finanziano programmi che non hanno niente a che fare con la vita normale. Dovremmo investire in educazione, sicurezza sociale, salute. E invece si spende in armi. E io non dico che non ci sia bisogno di sicurezza, capisco che c’è la paura della Russia, e c’è la paura che Trump ritiri gli Stati Uniti. Ma c’è la diplomazia che è ancora valida. Oggi alla comunità europea manca legittimità, e non solo a causa propria. I grandi, i cinesi, i russi, gli americani, lavorano per distruggere questa comunità, o ridurla soltanto a un mercato con molti soldi ma senza peso politico”.
Questo significa anche che temono che il progetto europeo abbia successo
“Sì. Sono abbastanza in là con l’età per ricordare che quando si è introdotto l’euro l’America aveva paura di perdere il dollaro come moneta unica del mondo. Ci sono grandi interessi. L’Europa avrebbe bisogno di avere una idea della sicurezza comune. Ma è difficile per 27 Stati trovare l’unanimità su questioni come le forze armate europee. Non vedo tanto la capacità di questa Europa, di questa Commissione, di arrivare veramente a questi risultati positivi”.
Lei supererebbe il criterio dell’unanimità in politica estera? Una domanda forse strana da porre a un cardinale…
“Nella Chiesa c’è una gerarchia, e chi gioca in questo club, per così dire, sa quali sono le regole. Ma nella vita diplomatica e nella vita politica sappiamo che la saggezza umana e il contesto che cambia possono portare alla ricerca di nuove soluzioni. All’epoca in cui si è decisa la regola dell’unanimità, dopo la caduta del muro di Berlino, erano tutti d’accordo, oggi vediamo che non è così. E se per costruire una idea bella come costruire pace, perché questo è l’obiettivo della comunità europea, ci vogliono nuovi passi, nuove metodologie, perché non lo facciamo?”.
All’arcivescovo di Belgrado un’ultima domanda: cosa pensa delle proteste in corso in Serbia da parte dei giovani che protestano contro la corruzione della politica?
“Le proteste sono iniziate in occasione del primo anniversario di un incidente alla stazione di Novi Sad (morirono 16 persone, tra cui due bambini, ndr.). Io sinceramente speravo di vedere la fine delle proteste ma purtroppo così non è stato. La madre di una delle vittime, che ha perso il figlio unico di 17 anni, ha cominciato uno sciopero della fame di fronte al Parlamento. Sono un po’ più preoccupato perché questo sciopero della fame tocca molta gente che prima non era neanche politicamente o ideologicamente impegnata. Si toccano emozioni, sentimenti profondi, diventa quasi impossibile ragionare in modo razionale. Se questa signora, Dio non voglia, finisse in ospedale, sarebbe l’inizio di una rivoluzione che non so dove porterebbe. Io penso che sia necessario il dialogo. Non solo: sarebbe necessario che la Procura iniziasse finalmente a indagare su quell’incidente, perché è passato un anno e non c’è ancora nessun risultato. Servirebbe una decisione chiara. Questo riuscirebbe a calmare un po’ la situazione”.
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