Gaza, Mosca sfida Washington all’Onu
GERUSALEMME – Il grande Risiko del Palazzo di Vetro ruota intorno al piano di pace per Gaza. Dopo il testo fatto circolare una settimana fa dagli Stati Uniti — bozza di risoluzione in appoggio al piano di Trump, dove si parlava della Forza di stabilizzazione e di un consiglio transitorio per governare la Striscia per almeno i prossimi due anni — giovedì sera la delegazione russa ha presentato una sua controproposta, distante da quella americana su diversi punti. Intanto, perché citava la soluzione a due Stati, opponendosi alla permanenza dei militari israeliani nella zona gialla (dove l’Idf si è ritirata in ottemperanza alla prima fase della tregua). Inoltre, si asteneva dal chiedere la smilitarizzazione dei miliziani e tralasciava il concetto di “Board of Peace”, proponendo di affidare al Segretario generale dell’Onu il compito di valutare le «opzioni per il dispiegamento della Forza internazionale di stabilizzazione».
Ma intanto la situazione a Gaza è sempre più precaria: aggravata dalla crisi dei cento miliziani di Hamas intrappolati in un tunnel, nell’area controllata da Israele, sul cui destino non si riesce a trovare un accordo. E rischia di esplodere pure la Cisgiordania, dove le violenze dei coloni stanno toccando un nuovo apice.
Per questo gli americani hanno fretta. Al punto, ci dicono fonti diplomatiche, da aver già rimaneggiato la loro bozza: aggiungendo un riferimento alla soluzione a due Stati (parlando esplicitamente di “percorso per l’autodeterminazione”) e altre correzioni. Chiedendo poi al Consiglio di Sicurezza — insieme ai partner arabi di Qatar, Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Indonesia, Pakistan, Giordania e Turchia — di portarla rapidamente al voto. Una pressione che spinge gli osservatori a credere abbiano in tasca un’intesa: con la Cina, appagata dall’accordo commerciale, che potrebbe astenersi. E perfino con la Russia, che pure ha appena giocato al rialzo.
Se fosse vero, sarebbe un pessimo segnale per Kiev: anche perché si somma alla richiesta, sempre da parte americana, di annacquare il consueto voto annuale dell’Assemblea Generale sulla guerra ucraina — finora passata sempre col medesimo testo di condanna — eliminando i riferimenti all’integrità territoriale. Alcuni funzionari temono sia in atto un bazar sottobanco: con gli americani pronti a sacrificare la Crimea e forse anche altro, in cambio del sostegno — o almeno il non veto — al loro piano per Gaza. Prospettiva indigesta anche agli europei. D’altronde, Trump ha detto di volere la risoluzione votata entro Thanksgiving: il 27 novembre. Ma intanto martedì aspetta il principe saudita Bin Salman che vuole disperatamente tirare negli Accordi di Abramo: e sa bene che quello non farà un passo senza impegni concreti su Gaza.
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