Gaza, sette neonati morti di freddo. Ancora bloccate ai valichi le case mobili

Aveva solo 46 giorni Sila Abdul Qader. È nata quando su Gaza cadevano ancora le bombe, ma a ucciderla non sono state le schegge o una deflagrazione. Si è spenta per il freddo impossibile da combattere nella tenda rattoppata in cui la sua famiglia ha trovato rifugio dopo essere tornata a Nord.

Dopo mesi di assedio, lì non c’è una casa che sia rimasta in piedi. In pochi giorni, è la settima bambina uccisa dal gelo che ha investito la Striscia dove da una settimana le temperature notturne spesso non superano lo zero. “Mia figlia è morta di freddo, di mancanza di coperte e materassi, di un rifugio adeguato”, dice il padre in un video postato sui social. “Le nostre case sono state distrutte e non abbiamo più niente. Avevamo un’unica coperta e l’abbiamo usata per lei, ma non è servito a nulla, è morta lo stesso. Il suo corpo era tutto diventato blu”, racconta.

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È uno dei tanti sfollati, adesso costretti a sopravvivere sotto rifugi di stracci mentre 60mila case mobili rimangono bloccate al valico di Rafah. Il loro ingresso era parte dell’accordo della fase uno del cessate il fuoco ma è rimasto lettera morta. “Viviamo sotto le tende e si gela. Il freddo è intollerabile. Mia figlia se l’è portata via. Sono esausto, non so cos’altro dire. Ho altri cinque figli e ho paura per loro. Alle famiglie dico provate a proteggerli, io non ci sono riuscito”. Non è l’unico.

Tre neonati, di uno o due giorni appena, sono morti all’ospedale di Gaza City un paio d’ore dopo essere stati ricoverati. Altri due si sono spenti nella mattinata di martedì, un’altra, di due mesi appena è stata uccisa dal freddo a Khan Younis. L’ha trovata il padre Yusuf al-Shinbari, quando attorno a mezzanotte si è svegliato per controllare che tutti stessero bene. Sham, così si chiamava la piccola, era fredda al tatto. Non riusciva a sentire il battito del cuore. “Ieri stavo giocando con lei”, ha detto alla Reuters. “Ero felice con lei. Era una bambina bellissima, come la luna”.

A ucciderla è stata l’impossibilità di scaldarsi, ha confermato il dottor Ahmed al-Farah, primario di pediatria all’ospedale Nasser di Khan Younis. “Non aveva nessun’altra malattia”. Ma non è l’unica. Altri otto attualmente lottano per sopravvivere. “Non hanno nessuna patologia – spiegano i medici – sono semplicemente nati da madri molto provate e le loro famiglie non hanno materialmente mezzi per scaldarli”.

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L’accordo per il cessate il fuoco prevedeva l’ingresso a Gaza di 200mila tende, ma ne sono entrate a stento la metà, più 12 casette mobili rispetto alle 60mila previste. “È necessario un intervento urgente parte delle istituzioni internazionali e delle Nazioni Unite per salvare i bambini di Gaza”, ha affermato il dottor Munir al-Bursh, direttore generale del ministero della Sanità palestinese.

La notte di Natale, quando un’altra piccolissima Sila si è spenta per il gelo fra le braccia magre di un’altra madre che invano cercava di scaldarla, la sua storia ha fatto il giro del mondo. È stata pioggia di mai più, mentre dalla Striscia arrivava la notizia di altri sette bimbi morti di freddo. Ma è bastata una nuova ondata di freddo per provocare un’altra strage.

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Dall’inizio del cessate il fuoco, gli aiuti umanitari hanno ricominciato lentamente a fluire all’interno della Striscia, “ma le necessità rimangono enormi”, sottolineano regolarmente diverse agenzie delle Nazioni Unite. Entrano con il contagocce e dopo settimane di attesa ruspe e bulldozer necessari per rimuovere le macerie, gli autoarticolati che trasportano le casette mobili sono da settimane fermi ai valichi, interi carichi di pompe per l’acqua, pannelli solari, generatori rimangono bloccati. E i feriti faticano a lasciare la Striscia.

Da programmi, da Rafah sarebbero dovute uscire già circa 2mila persone, ma al momento solo 851 pazienti, fra cui 320 bambini, sono riusciti a attraversare il valico per ricevere cure specialistiche in Egitto o altri Paesi. Secondo l’Agenzia per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, almeno 14mila pazienti, fra cui 4.500 bambini, hanno urgente bisogno di assistenza sanitaria fuori da Gaza, altrettanti dovrebbero uscire per terapie riabilitative impossibili nella Striscia dove meno della metà degli ospedali sono funzionanti e nessuno a pieno regime. Si aspetta che la lista scorra, di avere tempo sufficiente per avere una speranza, mentre i negoziati per la seconda fase arrancano e la tregua alla vigilia del Ramadan sembra sempre più fragile.

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