Gli atolli del North Carolina aspettano Erin. “Questa settimana vincerà la natura. Ma ci rifaremo”
C’è una maglietta popolare sull’isola di Hatteras, nelle Outer Banks della Carolina del Nord, che recita: “Una strada aperta. Una strada chiusa (a volte)” – una presa in giro della costante lotta tra Madre Natura e il sottile nastro di asfalto che collega la stretta isola-barriera al resto del mondo.
Questa settimana probabilmente Madre Natura vincerà. Si prevede che l’uragano Erin rimarrà a centinaia di miglia dalla costa, vicino comunque quanto basta a provocare onde alte 6 metri e mezzo, che si infrangono sulle vulnerabili dune di sabbia delle isole.
Rischio isolamento dopo Erin
Le autorità hanno ordinato l’evacuazione delle isole di Hatteras e Ocracoke anche senza un’allerta uragano, perché quel piccolo nastro di autostrada chiamato NC 12 verrà probabilmente distrutto e spazzato via in diversi punti, isolando i villaggi per giorni o settimane I circa 3.500 abitanti delle Outer Banks che vivono lì hanno già affrontato l’isolamento in passato. Ma la maggior parte delle decine di migliaia di vacanzieri non l’ha fatto.
“Non vedevamo onde di queste dimensioni da un po’ e i punti vulnerabili, negli ultimi 5 anni, si sono ulteriormente indeboliti”, racconta all’agenzia Associated Press Reide Corbett, direttore esecutivo del Coastal Studies Institute, un gruppo di diverse università che studia le Outer Banks.
Le dune che hanno resistito
In pratica, si tratta di dune di sabbia, sufficientemente alte da essersi mantenute sopra il livello dell’oceano, quando molti dei ghiacciai terrestri si sciolsero, 20.000 anni fa. In alcuni punti, le isole barriera si trovano a 48 chilometri dalla costa continentale della Carolina del Nord. A est l’Oceano Atlantico. A ovest si trova il Pamlico Sound, la più vasta laguna lungo la East Coast statunitense “Acqua, acqua ovunque – spiega Corbett -. Il che si riflette davvero sulle Outer Banks”.
La zona più edificata e popolata della barriera si trova a nord, intorno a Nags Head e Kill Devil Hills, che non sono soggette all’ordine di evacuazione. A sud dell’Oregon Inlet, devastato da un uragano del 1846, c’è Hatteras Island, dove l’unico collegamento con la terraferma è la NC 12. Ancora più a sud c’è Ocracoke Island, accessibile solo in barca o in aereo.
Il boom turistico data 60 anni
Le prime autostrade a raggiungere la zona furono costruite più di 60 anni fa. E le Outer Banks iniziarono a prosperare, evolvendo da pittoreschi villaggi di pescatori a quello che sono oggi, un luogo costellato di case vacanze di 550 metri quadrati su palafitte. In una bella giornata, quelli che sembrano spazzaneve e spazzole stradali aspettano ai lati della NC 12 per raccogliere e spazzare via la sabbia costantemente sollevata dal vento. Quando arrivano le tempeste, l’acqua dell’oceano o il rumore penetrano tra le dune di sabbia e trasportano sulla strada tonnellate di sabbia e di detriti. Nei casi estremi, le tempeste possono rompere il manto stradale o persino creare nuove insenature che richiedono ponti temporanei.
Durante gli anni Dieci, il dipartimento dei Trasporti della Carolina del Nord ha speso in media più di 1 milione di dollari all’anno per la manutenzione ordinaria della NC 12. In aggiunta alla spesa di routine, circa 50 milioni di dollari sono stati necessari per riparare i danni generati dalle tempeste. Lo stato però stima che la contea di Dare, che comprende la maggior parte delle Outer Banks, generi 2 miliardi di dollari di entrate turistiche all’anno. Quindi il ciclo di pulizia e riparazione continua.
Costi e tempi del dopo-uragani
Le riparazioni richiedono tempo. L’uragano Isabel nel 2003 e l’uragano Irene nel 2011 hanno entrambi distrutto insenature nell’isola di Hatteras: non si è potuto fare a meno dei traghetti per due mesi. Possono ancora volerci giorni per riaprire la NC 12 dopo una media tempeste di Nor’easter, come vengono chiamati qui i cicloni extratropicali che si abbattono sull’estremo Nord-ovest dell’Atlantico.
Non sono però le tempeste, da sole, a colpire l’isola. Con il riscaldamento del pianeta e lo scioglimento dei ghiacci polari, l’innalzamento del livello dell’oceano minaccia le Outer Banks. In un luogo dove la maggior parte del territorio si trova a pochi metri sopra il livello del mare, ogni centimetro di sabbia conta. A Rodanthe, che si estende più a largo, nell’Atlantico, nel 2020 l’oceano in tempesta ha inghiottito più di una dozzina di case. Le autorità ritengono che almeno due case disabitate potrebbero andare perdute se le onde di Erin saranno forti come si prevede.
Shelli Miller Gates, oggi fisioterapista respiratoria, lavorava come cameriera ai tavoli di Outer Banks quando era studentessa universitaria alla fine degli anni ’70. Ricorda case senza aria condizionata, televisione o telefono. E le adorava. “Amo l’acqua. Amo la sua natura selvaggia. È il modo in cui voglio vivere la mia vita”.
Le “Obx” sono uno stile di vita
È uno stile di vita abbracciato da molti. La sigla comunemente adottata nella zona per definirsi, “Obx”, si palesa in molti luoghi, è quasi un motivo di orgoglio. Tanto da occupare i primi tre posti, le prime tre lettere, sulle targhe automobilistiche e motociclistiche rilasciate dallo Stato.
L’isolamento contribuisce al senso di comunità. Gates ha visto persone unirsi innumerevoli volte quando il loro contatto con il mondo esterno si è interrotto. E c’è sempre il fascino di vivere in un posto dove gli altri possono solo andare a trovarli. “Ci sono cose ovunque. Ci sono terremoti, lucertole e inondazioni. Guarda la povera gente della Carolina del Nord occidentale”, spiega. “Ci sono così tante cose che possono succederti. Sento che devi trovare il posto in cui sentirti a casa.”
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