Gli Usa boicottano all’Onu la risoluzione pro Kiev: “Deve abbassare i toni”
Il clamoroso ribaltone americano nei confronti dell’Ucraina (quanto meno quella guidata da Volodymyr Zelensky, definito da Donald Trump addirittura “dittatore illegittimo”) si sta traducendo, in ambito diplomatico, nel rifiuto di sostenere la bozza di risoluzione Onu scritta in occasione del terzo anniversario dell’invasione, perché condanna l’aggressione russa e sostiene l’integrità territoriale del Paese invaso. Un documento appoggiato da oltre cinquanta nazioni che gli Stati Uniti non vogliono firmare.
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Stessa posizione, d’altronde, assunta pure in ambito G7: dove, a costo d’incrinarne l’unità, gli Stati Uniti rifiutano di sottoscrivere il documento redatto sempre in occasione del triste anniversario, perché si oppongono all’uso del termine “aggressore” riferito alla Russia. Con buona pace del fatto che in una carta analoga sottoscritta un anno fa da tutti, quella stessa parola era ripetuta cinque volte. La nuova amministrazione ammorbidisce dunque anche linguisticamente la propria posizione: l’indicazione è infatti sostituire con le parole “conflitto ucraino” quel che gli uomini di Joe Biden chiamavano “aggressione russa”.
Un sostanziale spostamento del focus delle responsabilità, anche in vista del possibile incontro fra Donald Trump e Vladimir Putin che dovrebbe tenersi in data da stabilire a Riad: il negoziato, di cui certo hanno parlato il principe Mohammad bin Salman e il presidente russo nel corso di una telefonata avvenuta ieri. A quel tavolo gli americani sarebbero pronti a offrire a Mosca anche un alleggerimento delle sanzioni. Lo ha confermato il segretario al Tesoro Scott Bessent sottolineando che potrebbero aumentare o ridurre quelle misure in base alla volontà di Mosca di negoziare. «Riteniamo possa essere uno dei modi per porre rapidamente fine al conflitto» ha detto il ministro che secondo Trump sarebbe stato umiliato da Zelensky una settimana fa. Quando il leader ucraino ha rifiutato di incontrarlo e leggere la proposta di contratto con cui gli Stati Uniti gli chiedevano il 50 per cento delle terre rare sepolte nel sottosuolo del Paese, come “rimborso” per gli aiuti ricevuti da Washington negli anni scorsi. «L’Ucraina abbassi i toni, esamini attentamente la situazione e firmi l’accordo» ha dunque ringhiato ieri il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, che sull’argomento è un vero falco.
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Di sicuro la questione è stata al centro dell’incontro di ieri a Kiev fra l’inviato speciale per l’Ucraina Keith Kellogg e Zelensky. Per volontà americana, è stata annullata la conferenza stampa che doveva tenersi al termine. Ma su X il presiedente ucraino lo ha comunque definito «un incontro produttivo e dettagliato sulla situazione sul campo e modalità di restituzione dei prigionieri». Dicendosi pronto «a lavorare 24 ore su 24 a un accordo d’investimento e sicurezza forte ed efficace col presidente americano. Relazioni forti fra noi e gli Stati Uniti vanno a beneficio del mondo».
Tocca all’Europa reagire alla tirata di Trump contro Zelensky, che con gli altri leader riconoscono la legittimità dell’ucraino. «Un presidente eletto da un sistema libero. Contrariamente a Putin, che gli oppositori li uccide» ha detto il presidente francese Emmanuel Macron che lunedì volerà a Washington per fronteggiare The Donald: «Gli dirò di non essere debole col russo». E alla Casa Bianca andrà presto pure il premier britannico Keir Starmer. Nel frattempo lunedì 24, appunto anniversario dell’invasione, i vertici della Ue Ursula Von der Leyen e António Costa saranno a Kiev per ribadire il sostegno dell’Europa al Paese. Ci sarà anche il premier spagnolo Pedro Sánchez: «Sosteniamo la democrazia».
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