La Columbia cede a Trump: pagherà 221 milioni di dollari per le proteste pro-Palestina

“L’accordo con l’amministrazione Trump rispecchia i nostri valori”, ha assicurato la presidente ad interim della Columbia University, Claire Shipman, al Columbia Spectator, subito dopo aver annunciato che l’università pagherà una multa di 200 milioni di dollari in tre anni per risolvere le accuse di non aver protetto gli studenti ebrei durante le proteste pro-Palestina nel campus. Dopo mesi di tensioni, il prestigioso ateneo nel cuore di New York cede così alle pressioni del presidente americano, che, da quando è tornato alla Casa Bianca, ha promesso di ripristinare l’ordine nei campus statunitensi, sempre più permeati secondo lui da “ideologia woke e antisemitismo”.

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Il podcast di Stefano Massini

È nel tentativo di punire la Columbia University — da cui, lo scorso anno, sono partite le proteste pro-Palestina poi dilagate in decine di campus — che il governo americano aveva deciso, a marzo, di tagliare 400 milioni di dollari in sovvenzioni federali e sospendere l’accesso a tutti i finanziamenti pubblici. Ora, secondo quanto emerge da un accordo di 22 pagine, la maggior parte di quei fondi verrà ripristinata e la Columbia potrà nuovamente accedere sia ai finanziamenti attualmente disponibili, sia a quelli futuri.

L’annuncio arriva il giorno dopo la sospensione ed espulsione di oltre 80 studenti per aver partecipato alle proteste. L’organizzazione studentesca Columbia University Apartheid Divest (Cuad) aveva denunciato l’azione, ritenendola parte di un accordo federale che la Colombia stava per annunciare. Ma Shipman ha assicurato che non è stato questo il caso e che le misure erano state prese in modo indipendente.

Trump ha celebrato l’accordo con un post su Truth Social, in cui ha ringraziato la segretaria all’istruzione Linda McMahon per il suo lavoro e ha elogiato la Columbia “per aver accettato di fare ciò che è giusto”. “Molti altri istituti di istruzione superiore che hanno danneggiato così tante persone, sono stati così ingiusti e hanno speso male i soldi federali, molti dei quali provenienti dal nostro governo, stanno per essere eliminati”, ha aggiunto.

Il presidente americano ha poi definito “storica” la decisione di “porre fine alla ridicola politica di diversità e inclusione”, ad ammettere gli studenti “solo in base al merito” e a tutelare i diritti degli studenti nel campus. L’accordo,infatti, stabilisce che sarà vietato l’uso di dichiarazioni personali, narrazioni sulla diversità o riferimenti all’identità razziale dei candidati come strumenti per introdurre o giustificare pratiche discriminatorie. La Columbia dovrà pubblicare i dati relativi alle ammissioni e garantire che i propri processi di selezione, sia per l’accesso degli studenti sia per le assunzioni del personale, siano basati esclusivamente sul merito.

Inoltre, l’università si è impegnata a porre, ai candidati internazionali, domande specifiche per comprendere le motivazioni che li spingono a voler studiare negli Stati Uniti. Parallelamente, saranno sviluppati materiali formativi per introdurre tutti gli studenti ai valori e alle norme che regolano la vita del campus. Verranno istituite procedure volte ad assicurare che gli studenti partecipino attivamente alle tradizioni accademiche statunitensi, tra cui il dialogo civile, la libera ricerca, il dibattito aperto e il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza e rispetto reciproco.

Al governo federale non sarà concessa alcuna autorità in materia di assunzioni, ammissioni o discorsi accademici presso l’università. Ma “impone una revisione completa del portafoglio di programmi della Columbia nelle aree regionali, a partire da quelli relativi al Medio Oriente”.

Il governo e l’Università hanno concordato nel nominare Bart Schwartz come supervisore indipendente per monitorare l’attuazione dell’accordo. Descritto dal New York Times come la persona “spesso ricercata in… situazioni spinose”. Schwartz è fondatore e presidente di Guidepost Solutions, dove fornisce servizi di monitoraggio e indagini di conformità, etica e integrità. Per oltre 30 anni ha gestito questioni per una vasta gamma di clienti, tra cui agenzie governative, società internazionali e organizzazioni no-profit.

“Penso che sia facile mettere le cose in termini davvero binari, capitolazione contro lotta”, ha detto Shipman in merito alla percezione pubblica dell’accordo, ma ha sottolineato che questo “non supera nessuna delle linee rosse che avevamo delineato” e che il processo intrapreso rappresenta “in realtà quello giusto per questa istituzione”.

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