La testimonianza da Gaza: “Quei progetti assurdi, decisi senza di noi”
A Gaza i bambini tornano a giocare, ma gli occhi delle loro madri restano vigili. I mercati riaprono, ma gli scaffali sono vuoti. Il rumore degli aerei persiste e la paura è sempre presente. Questa non è la fine della guerra, solo una pausa per cercare cibo e riparare muri. Ma una tregua non cancella ciò che è stato, né garantisce che il domani sarà più sicuro. La Striscia è al centro di piani elaborati senza la partecipazione della sua gente.
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Dossier – Sentieri di guerra
Il video di Trump in cui immagina Gaza dopo che gli Stati Uniti l’avranno comprata è diventato argomento di conversazione tra tutti qui. La domanda è la stessa: «Che cosa vogliono da noi questa volta?». Pianificano il nostro futuro da sale conferenze lontane, disegnano mappe di cui non sappiamo nulla, e nessuno ci chiede che cosa vogliamo. Per loro, siamo solo numeri. Ma queste sono la nostra terra, le nostre case, le nostre vite.
«C’è sempre un nuovo piano per Gaza, come se fossimo un progetto che possono modificare quando vogliono. Vogliamo solo vivere, non abbiamo bisogno di piani disegnati sui loro documenti», racconta Mahmoud, che ha perso la casa e ora vive in un rifugio temporaneo. C’è rabbia e paura che queste idee possano diventare realtà, senza che possiamo fare nulla per impedirlo. Tregua o no, la verità è che il nostro destino è scritto in luoghi lontani. Il video di Trump è diventato virale, ma qui ci sono preoccupazioni più urgenti.
Senza elettricità e riscaldamento, le persone dormono ammassate sotto coperte lacerate, cercando di rubare un po’ di calore dai corpi degli altri. Ma il freddo è più forte e non risparmia nessuno. Sette bambini sono morti per ipotermia nelle ultime settimane. Al loro funerale non ci sono state urla, solo volti silenziosi sfiniti dal dolore. Che cosa è una tregua per chi non ha nemmeno un tetto sotto il quale ripararsi?
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