L’analista Milshtein “In Israele cresce la fronda dei riservisti, qualcosa cambierà”
TEL AVIV – Siamo al punto di partenza, non è cambiato molto tra questa proposta accettata da Hamas e ciò che è stato sul tavolo del negoziato negli ultimi due mesi, anche se bisogna capire bene tutte le clausole della nuova bozza. Credo che, senza una vera pressione da parte di Trump che al momento non vedo, Netanyahu tirerà dritto con il piano di occupazione di Gaza City». Michael Milshtein, analista israeliano tra i più competenti ed esperti e capo degli studi palestinesi al Moshe Dayan Center, decifra così l’ennesima torsione del destino di Gaza, dove i morti hanno superato quota 62 mila e centinaia di migliaia di gazawi si preparano a sfollare a sud.
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Dossier – Sentieri di guerra
Solo il presidente americano può fermare il piano di Netanyahu?
«C’è anche un altro fattore da tenere in considerare: la piazza gremita di domenica scorsa. Mezzo milione di persone che a Tel Aviv protestano contro la continuazione della guerra mette indubbiamente pressione all’esecutivo, soprattutto per la questione dei riservisti che non vogliono più tornare a Gaza».
Quanto è vasto il fenomeno?
«Se il piano di occupazione totale della Striscia sarà attuato, come sembra, l’esercito avrà bisogno di richiamare centinaia di migliaia di riservisti. Sta crescendo la fronda di chi dice no. La maggior parte dei soldati è disposta a essere impiegata in Siria o in Cisgiodania, però non a Gaza. Finora ci sono stati 10-20 casi di gente finita nel carcere militare per questo motivo, ma il fenomeno è in espansione. È una novità per il nostro Paese. E vista la grande considerazione che gli israeliani hanno per le forze armate, lo scontento dei riservisti avrà un impatto politico forte».
Cosa può succedere?
«Non necessariamente ciò porterà a un esplosione di rabbia tipo intifada, tuttavia le proteste aumenteranno di frequenza e intensità. Ad esempio, gli organizzatori che hanno indetto lo sciopero generale di due giorni fa ne hanno già convocato un altro per domenica. Mi aspetto una partecipazione oceanica, soprattutto se comincerà la manovra militare a Gaza City».
Tel Aviv, 500mila in piazza per chiedere la fine della guerra: “Occupare Gaza è una follia”
La piazza di domenica scorsa chiedeva il ritorno degli ostaggi e la fine di una guerra che gli israeliani non vogliono più combattere, ma non si percepiva altrettanta preoccupazione per il massacro dei civili palestinesi e per la distruzione della Striscia di Gaza. Cosa ne pensa?
«Lei ha ragione. Molti israeliani sono consapevoli di quel che sta accadendo a Gaza, e non credo che siano contenti di vedere i palestinesi soffrire. È altrettanto vero che non è questa la ragione che li spinge in massa nelle strade per protestare contro il governo di Netanyahu. Durante le manifestazioni alcuni gruppi legati alla sinistra hanno elaborato slogan che denunciano una nuova Nakba in corso a Gaza: erano una minoranza e pure malsopportati dai leader della protesta, i quali temono che vengano strumentalizzati dalla destra per sostenere che lo sciopero generale è contro gli interessi di Israele».
Perché Netanyanu non può approvare la proposta di tregua?
«Ufficialmente ha dichiarato che è disposto a trattare solo un accordo totale e non parziale, e solo se Hamas accetterà di disarmarsi e di andarsene dalla Striscia di Gaza. Ma se decidesse di lasciare aperta una porta alla trattativa, dovrebbe fare i conti con ministri come Ben-Gvir che ieri, all’uscita delle indiscrezioni sulla nuova bozza, non a caso era arrabbiatissimo».
Perché?
«Perché la proposta di Egitto e Qatar prevede che al giorno uno del cessate il fuoco le parti comincino a trattare la fine definitiva del conflitto. Esattamente ciò che Ben-Gvir non vuole».
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