Lettere, minacce e bombardieri: Trump avvia il conto alla rovescia per colpire l’Iran
L’alba di un nuovo conflitto o una strada aperta verso l’accordo del decennio? E’ cominciato il conto alla rovescia tra Stati Uniti/Israele e Iran. Nelle ultime settimane, lontano dall’attenzione internazionale concentrata su altre partite geopolitiche, l’amministrazione Usa ha intensificato la pressione su Teheran, diplomatica e militare. Il 19 marzo, Trump aveva dato due mesi di tempo a Khamenei per decidere se accettare o no la sua proposta di negoziato. Gli iraniani hanno risposto con una lettera inviata a Washington tramite l’Oman e firmata, secondo fonti iraniane, direttamente dalla Guida Suprema. Teheran ha offerto agli Usa negoziati indiretti per valutare le reciproche posizioni e poi “se i colloqui saranno su un piano di parità, l’Iran sarà pronto a compiere i prossimi passi nei colloqui”, ha dichiarato l’ex presidente del consiglio di sicurezza nazionale, Ali Shamkani, il che significa anche possibili contatti diretti, come chiedono gli Usa. La posta in gioco è altissima e l’ha spiegato senza mezzi termini il ministro degli Esteri francese in audizione all’Assemblea nazionale: se i negoziati sul programma nucleare iraniano dovessero fallire, “uno scontro militare” sarebbe “quasi inevitabile”, ha detto Jean-Noel Barrot.
Trump era stato ancora più chiaro a marzo: ci saranno “bombardamenti in Iran in assenza di un accordo”. I toni aggressivi fanno parte dello stile negoziale del presidente americano, ma le possibilità di un’intesa nei termini posti da Washington – un accordo che includa anche il programma missilistico e i proxies iraniani nella regione – sono basse e il rischio di una escalation è reale. Gli americani lo sanno e hanno rafforzato la presenza militare in Medioriente. Il Pentagono ha annunciato l’invio di truppe e risorse aeree aggiuntive nella regione. La portaerei Carl Vinson si unirà all’Harry S. Truman nel Mar Rosso già impegnata in una crescente campagna di attacchi contro gli Houti, che sono diventati gli alleati più forti dell’Iran nella regione dopo l’indebolimento di Hezbollah in Libano e la caduta di Assad in Siria.
La scorsa settimana, il Pentagono ha spostato sei bombardieri Stealth B-2 in una base militare nell’Oceano indiano, la Diego Garcia, che consente di evitare le basi degli alleati Usa in Medio Oriente. La Diego Garcia è gestita dagli Usa insieme ai britannici, ospita anche petroliere e aerei cargo e si trova a circa 4mila chilometri dalla costa meridionale dell’Iran. Secondo l’analista militare della Cnn, Cedric Leighton, l’invio dei B-2, velivoli da 2 miliardi di dollari l’uno, serve a mandare un doppio messaggio all’Iran: stop al supporto degli Houthi e negoziato. “L’amministrazione Trump desidera un nuovo accordo nucleare e se l’Iran non inizia a negoziare con gli Stati Uniti le conseguenze potrebbero essere la distruzione del programma di armi nucleari dell’Iran”, dice Leighton.
Teheran gioca sullo stesso doppio binario. Ripete che i suoi impianti nucleari, costruiti in profondità sottoterra, non possono essere distrutti e che risponderebbe a un attacco militare con il massimo della forza. Ma apre al negoziato, seppur indiretto, alternando toni moderati ad avvertimenti più minacciosi. Il capo della diplomazia di Teheran, Abbas Araghchi, ha scritto in un Tweet che Trump “potrebbe non gradire l’accordo nucleare del 2015”, ma contiene “un impegno fondamentale da parte dell’Iran che rimane in vigore e da cui anche gli Stati Uniti, che sono fuori dall’accordo, hanno tratto beneficio”, ovvero che “l’Iran ribadisce che in nessuna circostanza cercherà, svilupperà o acquisirà armi nucleari”. Al tweet ha risposto niente di meno che l’inviato Usa per il Medioriente, Steve Witkoff: “great”, “grande” ha scritto in calce al post, salvo poi cancellarlo poche ore dopo in un dietrofront che a Teheran viene interpretato come una disposizione positiva al negoziato. L’alternativa, non è solo il rischio di una escalation militare Usa-Israele-Iran ma anche una radicalizzazione delle posizioni all’interno dell’establishment iraniano. Ali Larijani, ex speaker del Parlamento, esponente dell’ala più pragmatica della Repubblica islamica, in un insolito intervento televisivo ha spiegato che se gli Usa e Israele attaccheranno militarmente l’Iran, la pressione degli iraniani sul governo crescerà e Teheran “non avrà altra scelta” che dotarsi della bomba atomica. Il tempo stringe.
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