Myanmar, la giunta militare bombarda i ribelli vicino all’epicentro. Soccorritori sotto i raid

CHENNAI – Bombe sui terremotati. Per quanto orrendo possa sembrare a chi non conosce la situazione del Myanmar, è davvero così. Mentre l’intera regione era ancora stordita dai sussulti tellurici, la giunta militare birmana ha ordinato ai caccia bombardieri di aprire il fuoco contro i miliziani: una scossa di bombe dopo la scossa sismica.

Sono stati almeno quattro gli attacchi lanciati dall’aviazione dei militari al potere dal 2021. Uno non lontano dall’epicentro, vicino alla capitale dello Stato di Sagaing, a 20 km da Mandalay. Altri tre attacchi aerei hanno colpito il villaggio di Ley Wah nel Kareni e quello di Pyu, a 90 km da Yangon, e un villaggio nello Shan.

Mentre i portavoce del governo chiedevano sangue per le trasfusioni, lo stesso governo spargeva sangue tra la coalizione di milizie e ribelli pro-democrazia che negli ultimi mesi ha preso il controllo della metà del territorio birmano.

Gli attacchi dell’esercito Tatmadaw dopo il terremoto potrebbero essere la continuazione di una strategia specifica, visto che un raid aveva colpito Nuang Lin, villaggio nel nord dello Shan pochi minuti prima del sisma uccidendo sette miliziani e danneggiando cinque palazzi, compresa una scuola. Ma i nuovi raid sono anche un monito alla Three Brotherhood Alliance, la coalizione delle diverse forze anti-golpisti, per dimostrare che il cataclisma naturale non distoglie i militari dalla battaglia.

La stessa Alleanza invece ieri sera ha annunciato un parziale cessate il fuoco di due settimane nella aree terremotate per consentire l’arrivo e la distribuzione di aiuti.

Le basi militari governative sono più svantaggiate dal sisma poiché strade e aeroporti danneggiati rendono difficile il rifornimento. Sebbene i miliziani abbiano ora un maggior vantaggio sul territorio, le forze governative hanno voluto ricordare che la punizione arriva dai cieli, dominio assoluto dell’aviazione militare.

I ribelli di questa regione sono già abituati alla vita nomade a cielo aperto. Lo spiega bene Dave Eubank, ex soldato delle forze speciali americane, leader dei Free Burma Rangers, associazione di aiuti umanitari che dagli anni ’90 dà sostegno sia ai combattenti che ai civili: «C’ero anch’io quand’è arrivata la scossa. Le fronde degli alberi si muovevano, ma per noi è finita lì. Qui la gente vive già nella giungla. Non abbiamo subito conseguenze dirette dalla scosse, ma solo i danni dell’esercito del Myanmar che ha continuato a colpire anche dopo il terremoto. Ad ogni modo, nella nostra zona gran parte dei villaggi erano già stati distrutti prima dai bombardamenti».

Si apre ora una questione importante. Nonostante la Cina abbia inviato soccorritori, medicine e generatori, promettendo 13 milioni di euro in aiuti, e la Russia abbia spedito un team medico con 120 soccorritori, altre nazioni, come l’India e la Corea del Sud, oltre all’Onu che ha stanziato 5 milioni, e la Ue, dovrebbero esigere una cessazione dei bombardamenti aerei per garantire la sicurezza del personale umanitario. Se i raid non si fermano, le missioni di soccorso potrebbero rallentare o fermarsi del tutto. E il Myanmar rischierebbe di restare più solo, tra le macerie, a continuare a massacrarsi.

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