Raid con missile o drone: le ipotesi dietro l’omicidio di Haniyeh. Al centro c’è una rete di iraniani anti-regime

A Teheran c’è un network di agenti al servizio di Israele. Non sono israeliani ma, al meglio delle nostre conoscenze, sono iraniani arruolati dall’intelligence israeliana nel grande bacino degli scontenti che detestano il regime. Appartengono alle minoranze vessate, come i curdi, e a quelle che viaggiano all’estero, come gli azeri. Nel gennaio 2018 il network ha scassinato il caveau che conteneva i dettagli dei piani nucleari dell’Iran e ha trasferito tutto il materiale in Israele. Nell’agosto 2020 ha ucciso un capo di al Qaeda, Abu Muhammed al Masri, nelle strade di Teheran e pochi mesi dopo ha ucciso lo scienziato generale a capo del programma atomico, Mohsen Fakhrizadeh, poco fuori dalla capitale. È molto probabile che sia questo network a essersi occupato, ieri notte, anche dell’uccisione del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. A differenza delle prime tre operazioni menzionate (e ce ne sono state altre), questa cade in un periodo di tensioni enormi e di stravolgimenti e avrà conseguenze che oggi non possiamo prevedere. Israele non ha rivendicato, ma non lo fa mai.

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La versione ufficiale, data anche dall’agenzia Fars, parla di un «ordigno arrivato dal cielo» e i pasdaran ieri mattina hanno detto che si è trattato di «un attacco partito fuori dall’Iran», che avrebbe colpito l’appartamento di Haniyeh e ucciso lui e la sua guardia del corpo. I media israeliani hanno fatto speculazioni, come tutti, e hanno parlato di un missile partito da un sottomarino in navigazione. Vale la pena ricordare che nel luglio e agosto del 2022 le forze armate israeliane sorvolarono in segreto Teheran con i loro F-35 Adir, i bombardieri invisibili, per provare di avere la possibilità di penetrare lo spazio aereo dell’Iran senza essere individuati – e fecero uscire la notizia in seguito, come avvertimento. Un bombardamento, quindi. La versione ufficiale però non è per forza quella giusta, e ieri c’è stata una censura ermetica sulle informazioni: non sono uscite fotografie dello scoppio e nemmeno del corpo, come era lecito aspettarsi per un cosiddetto “martire della resistenza” palestinese. È chiaro che la falla nella sicurezza iraniana, qualsiasi sia, è gigantesca e i pasdaran non intendono aiutare gli israeliani dando informazioni e conferme.

Tutto è cominciato il 19 maggio, quando l’elicottero con a bordo il presidente Ebrahim Raisi è precipitato sulle montagne. A quel punto il meccanismo per sostituirlo si è messo in moto e ha creato date certe: le elezioni, la proclamazione, la cerimonia d’inaugurazione. A questa era molto probabile che partecipassero anche i capi delle fazioni palestinesi Hamas e Jihad islamica, come è accaduto. L’intelligence israeliana disponeva finalmente delle coordinate dove sorprendere Haniyeh. Avrebbe potuto tentare in Qatar oppure al Cairo, dove Haniyeh si muove spesso, ma agire in due Paesi con cui ha un dialogo aperto sarebbe stato molto poco opportuno.

Israel Hayom, quotidiano di destra israeliano, e altre fonti parlano di un attacco con un piccolo drone, che sarebbe entrato nella finestra della stanza di Haniyeh e sarebbe esploso (vuol dire che la squadra che lo pilotava era lontana pochi chilometri, forse poche centinaia di metri). Dice persino che a fornire le informazioni sarebbe stata una guardia del corpo, ma non ci sono conferme possibili. Il sito arabo di notizie Amwaj, di solito informato e poco sensazionalista, sostiene che Haniyeh non voleva fermarsi a Teheran per la notte, perché temeva per la sua sicurezza, ma che invece avrebbe cambiato programma per discutere dell’attacco aereo israeliano su Beirut che poche ore prima aveva ucciso il leader militare di Hezbollah, Fuad Shukr.

A questo punto entra in gioco il network dell’intelligence israeliana. Individua il luogo dove dorme Haniyeh. Sabereen News, canale filo pasdaran, ieri ha rivelato che era il Basji al Zahra, un edificio protetto dai pasdaran che serve a ospitare personalità importanti ed è dentro al complesso di Saadabad, un’area chiusa di Teheran che un tempo apparteneva allo Scià e contiene giardini e diciotto ville. Il network prende di mira l’appartamento, forse dalle pendici delle montagne di Teheran Nord che stanno dirimpetto a quelle finestre. C’è chi ipotizza un piccolo drone esplosivo, chi un missile controcarro di quelli che filano senza problemi per quattro chilometri. Se si fosse trattato di un piccolo drone esplosivo, vale la pena ricordare che attacchi identici sono già stati fatti dal network israeliano: nell’aprile di quest’anno, nel febbraio 2022 contro una fabbrica di droni a Kermanshah, nel maggio di quell’anno contro il sito di Parchin dove si sviluppano i missili e a gennaio 2023 contro un’altra fabbrica militare a Isfahan. Questa volta, sempre per ipotesi, la squadra uccide il capo politico di Hamas. Nello stesso edificio, ma a un piano diverso, dicono i media israeliani, c’era anche Ziad Nakhaleh, capo della Jihad islamica, il gruppo palestinese che viene subito dopo Hamas in ordine d’importanza a Gaza. Il fatto che Nakhaleh sia illeso fa pensare che il palazzo non sia stato bombardato con un missile. Forse c’erano altri ospiti che non dovevano essere nemmeno sfiorati e questo fa pensare di nuovo all’azione di una squadra locale. Accanto c’è il palazzo del presidente appena insediato, Mahsoud Pezeshkian, e l’attacco suona come un messaggio.

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