Serbia, proteste e scontri. E Mosca teme di perdere l’alleato Vucic: “No a rivoluzioni colorate”

Non si ferma il grande movimento che da otto mesi protesta in Serbia contro la corruzione e l’autoritarismo del presidente Aleksandar Vucic e dei suoi governi. Dopo la manifestazione di sabato, a cui hanno partecipato 140mila persone, a migliaia in Serbia hanno organizzato ieri blocchi stradali, a Belgrado e in altre città, per chiedere il rilascio dei giovani arrestati in quell’occasione durante gli scontri con la polizia. Accusano il governo di incitamento alla violenza e lo definiscono illegittimo.

Le proteste contro Vucic

Nei disordini, secondo la polizia, 48 agenti sono rimasti feriti e 77 persone sono state arrestate, 38 delle quali sono ancora in custodia. Il presidente Vucic – l’ex ministro dell’Informazione di Milosevic, leader del partito di destra Sns e padre padrone della Serbia dal 2014 – ha condannato gli scontri, sostenendo che i manifestanti tentano di destabilizzare lo Stato. Anzi, in quella che è ormai una prassi, volta a screditare i ragazzi agli occhi dell’opinione pubblica, anche questa volta le autorità li avevano accusati di preparare per sabato scorso 28 giugno – giorno dell’epica battaglia del 1389 contro i turchi a Kosovo Polje, simbolo dell’eroismo nazionale – azioni violente per fermare il Paese e “portare il loro terrore anche fra gli investitori esteri e le ambasciate, al fine di isolare il Paese”. “Come si chiama tutto ciò? Terrorismo? Fascismo?”, aveva affermato Ana Brnabic, presidente dell’Assemblea nazionale ed ex premier.

L’inizio di tutto: la tragedia di Novi Sad

I manifestanti, che il 15 marzo avevano già radunato una folla oceanica a Belgrado, chiedono elezioni anticipate, perché i cittadini si esprimano su Vucic dopo questi otto mesi di clamorose proteste che hanno scosso per la prima volta il suo potere. Tutto è iniziato l’1 novembre, quando a Novi Sad la tettoia di cemento della stazione centrale è crollata e ha fatto 15 morti. Davanti al muro di gomma delle autorità e alla complicità dei media, il movimento degli studenti ha cominciato a scendere in piazza, sempre più rafforzato dagli imbarazzi del governo e dai primi risultati dell’inchiesta: la pensilina era stata rinnovata da pochissimo, tra il 2021 e il 2024, da un consorzio legato al governo cinese, uno degli alleati internazionali di Vucic insieme alla Russia di Vladimir Putin e all’Ungheria di Viktor Orbán.

L’autoritarismo di Vucic

Le proteste hanno portato a dimissioni eccellenti, come il 28 gennaio quelle del premier Milos Vucevic, sindaco proprio di Novi Sad per un decennio. Ma i manifestanti chiedono di più. Protestano contro un regime corrotto che ha il controllo assoluto dei media pubblici e chiude le ong. Vucic, che aspira all’ingresso nell’Ue, si era detto pronto, nel giro di tre, quattro o cinque mesi, a sottoporsi a una prova di legittimità, andando incontro alle opposizioni e affrontando nuove elezioni o un referendum sulla sua persona. “Abbiamo capito bene il messaggio e dovremo cambiare”, aveva detto in un discorso alla nazione. E gli studenti ora gli ricordano quella promessa, chiedono di anticipare subito le elezioni, invece previste nel 2027.

La paura di Mosca

Il potere di Vucic è scosso, e l’alleato russo comincia a preoccuparsi, dopo aver perso negli ultimi mesi la Siria di Assad e aver visto l’umiliazione dell’Iran degli ayatollah. “La Russia auspica che la situazione in Serbia si calmi nel rispetto della Costituzione e che l’Occidente non intervenga sostenendo una rivoluzione colorata”, ha detto il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, con un riferimento a quanto avvenuto in alcune ex repubbliche sovietiche dopo il crollo dell’Urss, come in Georgia e Ucraina, dove governi autoritari e vicini a Mosca erano stati fatti cadere da grandi manifestazioni popolari anti-corruzione.

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