Sudan, l’Rsf: “Arrestato Abu Lulu e altri soldati accusati di violenze nella conquista di El Fasher”
Il comandante “Abu Lulu”, il macellaio sudanese ripreso in decine di video mentre con il sorriso sulle labbra stermina file di civili allineati ai suoi piedi, è stato “arrestato” dai suoi uomini, le Rsf che nei giorni scorsi ha guidato alla conquista della capitale del Darfur Settentrionale, El Fasher, sommergendola in bagno di sangue.
La sua fotografia con le manette ai polsi segue la dichiarazione del capo delle Rsf, il generale Mohamed Hamdan Dagalo sotto sanzioni degli Stati Uniti: ieri aveva riconosciuto “abusi” da parte delle sue forze annunciando l’apertura di un’indagine, poi però aveva sminuito le notizie dei massacri e smentito la strage all’ospedale saudita di El Fasher in cui – secondo l’Oms – sono state uccise almeno 460 persone.
Ma l’orrore collettivo suscitato in tutto il mondo per decine di video girati dagli stessi miliziani delle Rsf, video strazianti che esaltavano Abu Lulu mentre scaricava il fucile su persone inermi, forniva un’occasione troppo comoda per non scaricare sulla crudeltà inarrivabile di un solo comandante la scia di sangue provocata da migliaia di miliziani che sta letteralmente colorando la savana sudanese. Le immagini satellitari di Airbus della terra arrossata dal sangue e di quelle che appaiono come pile di cadaveri ammassati hanno permesso al laboratorio di Ricerca umanitaria della Yale School of Public Health di confermare le immagini e i racconti della strage negli ospedali, trasformati in centri di detenzione.

I racconti che affiorano sono ogni ora più drammatici. Chi è riuscito a fuggire in tempo da El Fasher marciando con il cuore in gola per i sessanta chilometri che conducono a Tawila, donne e bambini e centinaia di piccoli orfani a cui erano appena stati uccisi i genitori, dice che la strada è disseminata di cadaveri. Sono affamati e disidratati, ma salvi: alle spalle si lasciano una città in cui sono in trappola 250mila persone, la maggior parte delle quali appartengono a gruppi etnici neri e sedentari che i Janjaweed stanno sistematicamente massacrando. I “demoni a cavallo”, come li chiamano in Sudan, sono tribù nomadi originarie della penisola araba, e sono la quasi totalità delle Rsf.
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Dopo un’infinità di video in cui ride e stermina, ecco Abu Lulu in un video diffuso dalle Rsf mentre lo arrestano: il pickup con i miliziani armati si ferma davanti a una prigione, l’uomo identificato come Abu Lulu esce in manette dall’abitacolo e viene accompagnato in una cella con due uomini di guardia. Pura propaganda: la situazione umanitaria resta drammatica, gli operatori continuano a raccogliere racconti di stupri e omicidi di massa.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha convocato ieri una riunione di emergenza sul Sudan, e il responsabile umanitario Tom Fletcher ha criticato il Consiglio stesso per non essere intervenuto tempestivamente: “Qualcuno qui può dire che non sapevamo che sarebbe successo? Non possiamo sentire le urla, ma mentre oggi siamo qui seduti l’orrore continua. Donne e ragazze vengono violentate, persone mutilate e uccise nella più totale impunità”.
Il Sudan è dilaniato da due anni dalla guerra tra l’esercito regolare e i paramilitari delle Forze di supporto rapido, con massacri e violazioni gravissime dei diritti umani da entrambe le parti. Nel conflitto sono morte decine di migliaia di persone, con milioni di sfollati e una crisi umanitaria terribile. Ricchissimo di risorse naturali, il Darfur è un inferno in cui il popolo resta poverissimo. Con la conquista della capitale del Darfur Settentrionale, tutto il Darfur è di fatto caduto sotto il controllo delle Rsf cacciate invece dalla capitale sudanese Khartum. Erano state fondate nel 2013 dall’ex presidente sudanese Omar al-Bashir per regolarizzare i miliziani arabi che usava per reprimere il dissenso, e oggi sono sostenute dagli Emirati. I rivali delle Saf, le forze armate governative comandate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e sostenute dall’Egitto, controllano invece la capitale.
La svolta impressa dalla caduta di El Fasher rischia di spaccare un’altra volta il Sudan: la secessione del Sudan del Sud con l’indipendenza del 2011 era arrivata dopo due milioni e mezzo di morti nelle due guerre civili tra il 1955 e il 2005. Ora le Rsf sognano una nuova secessione per rendere indipendente il Darfur sotto la guida del generale Dagalo, che già controlla le ricche miniere d’oro della regione.
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La deriva del Sudan è un altro incubo geopolitico che insanguina il mondo, lo scontro fra due élite militari rivali nate dallo stesso apparato autoritario ma divise dal potere economico e tribale. Da una parte c’è uno stato milizia nel Darfur sostenuto dall’oro e dalle connessioni etniche con il Sahel, dall’altra un esercito che controlla le istituzioni e la costa sul Mar Rosso ma non ha la forza di prevalere.
La Russia appoggia ufficialmente le Saf e mira ad avere una base navale a Port Sudan, ma ha rapporti con entrambi; e la Cina mantiene un’equidistanza formale concentrandosi sulla rete infrastrutturale e lo sfruttamento commerciale. Il risultato è un paese diviso in feudi armati, con una catastrofe umanitaria enorme in atto.
Nathaniel Raymond, direttore del laboratorio di ricerca di Yale che ha lavorato sulle immagini satellitari, dice che “l’intera città di El Fasher è circondata da un terrapieno, una scatola della morte per intrappolarli e per ucciderli”. I Janjaweed sono accusati di avere già commesso un genocidio nei primi anni del secolo, nel Darfur, e la Corte penale internazionale ha da poco emesso una prima condanna.
Il 18 novembre 2024 il Consiglio di sicurezza mise ai voti una risoluzione di condanna degli attacchi delle Rsf contro i civili nel Darfur e in altre aree del Sudan, presentata da Gran Bretagna e Sierra Leone: chiedeva un immediato cessate il fuoco e il rispetto della dichiarazione di Gedda sulla tutela dei civili e l’afflusso di aiuti umanitari, ma fu bocciata dal veto di Mosca.
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