Chi aizza il pubblico di New York e chi lo diverte
Se non l’avete vista, avrete di sicuro almeno letto qualcosa della mattana che ha visto protagonista Daniil Medvedev e coinvolto buona parte del pubblico del Louis Armstrong Stadium. Dunque sapete che il russo, che qui vinse il titolo nel 2021, nella tarda serata domenicale di New York è stato eliminato dal francese Benjamin Bonzi con il punteggio di 6-3 7-5 6-7 0-6 6-4. Sulla vicenda pongo a chi mi legge e a me stesso un quesito e alcune domande subordinate: qual è il passaggio più negativo della follia collettiva andata in scena nel match che ha chiuso la prima giornata degli Us Open 2025? Forse l’errore del fotografo accreditato che, inconsapevole delle regole base del suo lavoro, ha calpestato la superficie del campo a gioco in corso? Oppure la rigida interpretazione regolamentare che ha portato alla decisione del giudice di sedia Greg Allensworth di far ripetere la prima di servizio a Bonzi, avanti 5-4 e in vantaggio nel terzo set dopo essersi preso i due parziali precedenti (si trattava dunque del match point)? O, verosimilmente, il punto più basso del fattaccio è stato toccato con le proteste da parte del russo all’indirizzo di Allensworth, oltre ogni buon gusto e ragionevolezza? Altre ipotesi: la scena più inquietante non è per caso risultata la riduzione in poltiglia dell’incolpevole racchetta (la Tecnifibre avrà da eccepire con il moscovita)? E cosa dire dell’incitazione prolungata e ostentata di Medvedev affinché gli spettatori si schierassero in massa dalla sua parte? O, infine, è stato il pubblico pagante a comportarsi colpevolmente come se si trovasse in un’arena gladiatoria romana, in una piazza rivoluzionaria zeppa di tricoteuses, in un futuribile impianto di rollerball?
Vi devo, per il poco che vale, la mia risposta. Del caso Medvedev, a preoccuparmi e amareggiarmi è soprattutto il comportamento del popolo del secondo impianto di Flushing Meadows, che reclama più violenza verbale e più gesti sopra le righe e in quei dieci minuti di follia s’aspetta magari un’aggressione fisica, una scazzottata, un po’ di sangue. Bisogna evitare che il tennis diventi quella roba lì, come starebbe bene agli autocrati senza freni etici che vivono in case bianche o accanto ai mausolei, ma non a noi vecchi esegeti dello sport dei gesti bianchi.
Veniamo – ché è meglio – al gioco giocato di oggi nello slam d’America. Tra le partite in programma c’è lo scontro tra il numero 25 mondiale e 3 nazionale Flavio Cobolli e il qualificato Francesco Passaro, ATP 143 (ranking in tempo reale). I due hanno un unico precedente comune nel Challenger di Vicenza del 2022, segnato dalla rimonta di Cobolli (2-6 6-4 6-4). Il romano soffre però i derby, come accaduto nel primo turno contro Luca Nardi al Foro Italico in maggio. Il perugino, carattere da rematore (che nel gergo da club è chi non molla mai e la butta sempre oltre la rete), trova talvolta in sfide come questa le motivazioni per esaltare il proprio tennis consistente e resiliente. Meno efficace del solito con la prima di servizio, Flavio mantiene però un rendimento accettabile sulla seconda, mentre Francesco, dopo un inizio brillante, fatica a concretizzare i propri turni di battuta, forse perché intimidito dal contesto rumoroso e caotico del campo 5. Nelle tre ore e tre quarti di scambi ad alta spettacolarità, a fare la differenza sono le incertezze di troppo dell’allievo di Roberto Tarpani: in tutto saranno 81 i suoi errori non forzati contro i 58 di Cobolli. Finisce 7-5 4-6 6-4 3-6 6-3. Il prossimo avversario di Flavio sarà l’americano Jenson Brooksby, classe 2000, numero 33 al mondo tre anni fa, poi fermato da problemi di varia natura.
Mattia Bellucci, 23 anni, passa il turno grazie a un mix di coraggio e tenacia. Contro il cinese Juncheng Shang è efficace a corrente alternata: all’entusiasmo del tie-break del primo set (7-0) fa seguito il black-out del secondo parziale (1-6), alla riscossa del terzo (6-3) si aggiunge il dominio nel quarto, interrotto però dal ritiro dell’avversario sul 3-0. Per l’allievo di Fabio Chiappini il successo vale più del secondo turno in sé perché è la conferma di avere una parte non da comparsa sul palcoscenico maggiore.
Il varesotto è atteso tra due giorni da Carlos Alcaraz, che nell’ultima partita in calendario oggi sul campo dell’Arthur Ashe Arena regola senza strafare (6-4 7-5 6-4) il collezionista d’arte contemporanea Reilly Opelka. L’americano porta in campo la solita batteria di servizi – 14 ace – e l’ombra intimidatoria dei suoi 2 metri e 11, difficili da dimenticare per qualsiasi avversario. Alcaraz ha però pazienza e costruisce i break nei momenti giusti.
Il match è un gioco di specchi deformanti: potenza pura da un lato, mobilità e fantasia dall’altro. Opelka ha qualche chance, ma nei punti che contano lo spagnolo si prende la scena con colpi in anticipo, palle corte, passanti sulle righe. Due ore e pochi minuti, la sensazione che abbia cominciato il cammino a Flushing Meadows senza sprecare nulla. È già in modalità “torneo lungo”: presente, solido, leggero e feroce.
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