Con un Musetti così, Sinner non rischia più la solitudine tra i Top 10

La più avvincente, divertente, entusiasmante, imprevedibile, emozionante partita degli Internazionali BNL d’Italia 2025 l’ha vinta Lorenzo Musetti. Il suo controbreak del dodicesimo gioco del primo set, in rimonta da 0-40, e il successivo tie break, vinto 7-1, entrano senza bisogno di istruttorie nel sancta sanctorum del tennis italiano. Abbiamo visto scambi che voi umani che non eravate nel Centrale del Foro Italico non potreste immaginarvi: non navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, ma diritti lungolinea, cross di rovescio, palle corte millimetriche, lob che non uscivano mai dal campo, smash da fare buche che nemmeno le talpe. Merito di Lollo ma anche di Sascha, al secolo Alexander Zverev, che, se potesse, i tennisti italiani li escluderebbe per sempre dal circuito ATP e dagli slam, così da liberarsi dai suoi incubi.

Lasciate che vi dica perché, secondo me, stiamo assistendo a un successo non dell’uomo ma del “sistema” Musetti. Resocontando del divorzio tra Novak Djokovic e Andy Murray, ieri il cronista del New York Times Charlie Eccleshare fa un po’ il verso, inconsapevolmente, a Massimo Catalano, indimenticato cantore dell’ovvio in “Quelli della notte”, A.D. 1985: “Affinché un rapporto giocatore-coach prosperi, è necessario che ci sia una grande alchimia o arrivino ottimi risultati”. Entrambe le condizioni devono essere soddisfatte, perché senza alchimia né successi il rapporto si deteriora in fretta; se invece viene meno la prima, a lungo andare i risultati non tengono salda l’unione (e viceversa). Lo possono confermare Vincenzo Santopadre, Gipo Arbino, Renzo Furlan e perfino Riccardo Piatti, che solo tre anni fa erano gli allenatori di Matteo Berrettini, Lorenzo Sonego, Jasmine Paolini e Jannik Sinner, i quali in tempi diversi – il sudtirolese all’inizio del 2022, la lucchese soltanto un mese e mezzo fa – hanno scelto strade e compagni di viaggio diversi. A resistere è proprio Musetti, che accanto a sé ha da sempre Simone Tartarini. Il “sempre” significa quindici anni. I due sono inseparabili dal 2010, quando il futuro numero 9 del mondo faceva la terza elementare. Stasera con Simone, che è di Pietrasanta ma si considera spezzino, nel players box c’è – mi sembra – anche il preparatore atletico Damiano Fiorucci, carrarino come Lollo: tra loro tre, cresciuti nei venti chilometri che separano la Versilia dal Golfo dei Poeti, qualsiasi comunicazione verbale o mimica non rischia d’essere fraintesa.

Eppure, la fedeltà tra giocatore e coach non è un valore in sé. Alla maggioranza dei tennisti il cambiamento fa bene. Chiunque abbia preso lezioni di tennis s’è reso conto che, dopo un po’, ogni maestro esaurisce la scorta di consigli ed esempi. Di solito l’interessato, pagante, si rivolge a qualcun altro, dal quale assimilerà l’assimilabile prima di passare al successivo insegnante. Ad alto livello non scattano i medesimi meccanismi, perché i miglioramenti tecnici o fisici si palesano dopo mesi di lavoro durissimo e interrompere la programmazione può rovinare una stagione intera. Per alcuni, la strategia giusta è quella delle consulenze a tempo: il coach viene affiancato da un esperto che aiuta a risolvere eventuali problemi o insufficienze puntuali oppure si rende disponibile soltanto per alcuni tornei (Musetti si avvale talvolta del supporto di Corrado Barazzutti, che non è una presenza stabile nel team, e tiene a far sapere che non ha un mental coach). Finito il lavoro, grazie e arrivederci.

Un giocatore dai legami instabili è invece Zverev, che si fida solo del padre, Alexander Sr., e del fratello Michail detto Mischa, tennisti professionisti di buona qualità, il primo al tramonto dell’impero sovietico, il secondo fino a cinque anni fa. Tra gli allenatori che hanno avuto rapporti con il clan familiare russo-amburghese ricordo David Ferrer, Juan Carlos Ferrero, Ivan Lendl, Sergi Bruguera e, in qualche modo, anche Patrick Mouratoglou. Insomma, ci hanno provato in tanti, ma nessun coach è riuscito a fargli vincere uno slam.

Stasera tra il fedele e l’infedele prevale il primo, per 7-5 6-4 in due ore e un quarto. Nessuna lezione o morale da trarre, si può soltanto prenderne atto. Se il primo parziale s’è risolto dopo una rincorsa da togliere il fiato, il secondo è un testa a testa equilibrato, con il tedesco che prova, con il suo mix di classe e testardaggine, a fermare un avversario a tratti inarrestabile. Ricamando merletti tennistici, nel nono gioco Lorenzo strappa il break a lungo cercato e va a servire per il match. Va a segno, elimina il campione uscente di Roma con uno schiaffo al volo da destra a sinistra e ora fa sognare una finale italiana a Roma. “La chiave della mia vittoria sono i quattro set point salvati nel primo set”, dice nella conferenza stampa post match. E promette: “Voglio dare altre soddisfazioni al pubblico del Foro”. Carlos Alcaraz è avvertito, venerdì dovrà essere al suo massimo per frenare la sua corsa.

Nel pomeriggio, la coppia d’oro delle Olimpiadi, Errani-Paolini, ha compiuto un’altra impresa, eliminando l’americana Coco Gauff e la filippina Alexandra Eala al termine di un match complicato e nervoso (7-5 3-6 10-7). La conseguenza è che la semifinale del torneo di doppio vedrà di nuovo di fronte le due italiane e le russe Mirra Andreeva e Diana Shnaider, sconfitte proprio a Parigi in agosto in finale (2-6 6-1 10-7). Tra Jasmine e le due giovani avversarie ci sono conti aperti: in semifinale al Roland Garros 2024 la lucchese prevalse con un netto 6-2 6-1 su Mirra, mentre ieri è stata Diana a cederle per 6-7 6-4 6-2.

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