Coni, la volata di Malagò. Cip, si candida De Sanctis?
È stato molto chiaro, e lo ha ripetuto più volte: a gennaio si decide. Fra poco più di un mese si saprà se Giovanni Malagò potrà candidarsi per il suo quarto mandato o se il 26 giugno del prossimo anno al primo piano del Coni, Palazzo H, ci sarà un altro inquilino (o inquilina). Malagò, si sa, è un inguaribile ottimista, ma perché ha indicato gennaio se sinora nulla si è mosso a suo favore? Intanto, è sfumata anche l’ipotesi che il Milleproroghe potesse consentirgli di restare in carica fino alla primavera 2026, dopo le Olimpiadi di Milano-Cortina che lui ha portato in Italia. Niente da fare, l’ipotesi di questa deroga è subito tramontata perché andava contro la Carta olimpica, che parla appunto di quadrienni, e poi andavano prorogati anche Giunta e Consiglio del Coni. Troppo complicato.
Quindi, resta una sola possibilità. Perché, spiegano fonti vicine al n.1 del Coni, a gennaio “ci sono una serie di situazioni politiche in ballo…”. Una potrebbe essere il decreto Omnibus. Ma se sinora nulla si è mosso, si muoverà a gennaio? Malagò, si sa, ha amici e nemici nel mondo della politica e finora hanno prevalso i nemici. Fra questi, di sicuro, il ministro dello sport, Andrea Abodi, che ricorda (sovente) come il Coni sia un Ente pubblico mentre sono private le Federazioni sportive, dove i presidenti non hanno limite ai mandati (purché prendano i due terzi dei voti) e possono restare lì all’infinito. Vero, il Coni è un Ente pubblico ma lo è anche il Cip dove, sempre stando a fonti vicine a Malagò, Luca Pancalli usufruisce di una situazione normativa che il presidente del Coni non ha. Ma la verità è che qui è soprattutto una questione politica: si vuole che Malagò possa restare o che debba andare a casa dopo tre mandati? Sotto sotto c’è anche un pizzico di invidia: lui sovente è troppo sovraesposto. Si spiegano così anche certi attacchi concentrici dell’ultimo periodo. Ma gennaio è vicino, ormai.
Se Malagò non avesse più una chance, allora si aprirebbe subito la corsa alla sua poltrona, e se ne vedrebbero delle belle. Perché in molti (tre, quattro?) ambiscono a quel posto, anche se il Coni non è più quello di tanti anni fa (e gestisce meno soldi). Come noto, il 26 giugno si vota: al mattino il Coni, al pomeriggio il Cip. Pancalli è in carica dal 2000, prima presidente della Federazione italiana sport disabili (che gestiva anche soldi pubblici) e poi dal 2005 del Cip, Comitato italiano paralimpico, che ora è Ente pubblico come detto. Pancalli ha un curriculum di prim’ordine: capacità, esperienza e conoscenze ad alti livello. Potrebbe correre per il Coni. Lo si saprà a gennaio.
Sempre fra poco più di un mese si saprà se al Cip si candiderà Marco Giunio De Sanctis, ora presidente della Federazione bocce al terzo mandato, ma per un lungo periodo, oltre 20 anni, segretario generale e capo missione del Cip che ha contribuito a fare crescere. De Sanctis dice: “Rientra nei miei obiettivi, a gennaio scioglierò la riserva, tenuto anche conto che sono alla guida di una Federazione che è attesa da grandi traguardi. Il Cip di sicuro è stata una parte fondamentale della mia vita sportiva”.
Intanto, è fra gli scontenti delle decisioni di Sport e Salute sui contributi allo sport. Convinto, De Sanctis, che la sua Federazione sia stata penalizzata: “Avrei preferito, come ho detto più volte, che i contributi aggiuntivi venissero erogati a stagione in corso, non insieme con quelli del 2025. E poi sinceramente credo che la mia Federazione, per quello che fa anche sul sociale e sui disabili, meritasse maggiore considerazione anche per quanto riguarda il dimensionamento e il bacino d’utenza che dovrebbero rappresentare i primi parametri distintivi. Infine, ci tocca pagare pure gli affitti… Ma io sono un uomo di legge e rispetto le decisioni”. Angelo Binaghi, presidente della Fitp (Federazione italiana tennis e padel) elogia invece Marco Mezzaroma e Diego Nepi: “Non possiamo non apprezzare il coraggio che dimostra Sport e Salute nell’affrontare, seppure in modo graduale, i problemi storici dello sport italiano. Il sistema (leggasi Cap) continua a riconoscere solo parzialmente la crescita e i risultati del tennis e del padel in Italia, collocando la nostra Federazione solo al quinto posto assoluto dopo un anno irripetibile”.
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