Coppa Davis, il tennis che scalda i cuori
Essere “de Roma Nord” o “de Roma Sud” non è la stessa cosa. Si dice che i ragazzi di Roma Nord si rimpinzino di sushi, adorino i brunch e il CrossFit, portino a passeggio cagnetti da compagnia, mentre quelli di Roma Sud si nutrano di supplì, vadano in curva all’Olimpico, girino ancora in motorino. Cliché. Ma stasera i pischelli del Giulio Cesare penseranno di avere la prova provata della presunta superiorità di chi passa, come loro, la vita nelle lunghe vie e nelle piazze del quartiere africano, ai Parioli, sulla Collina Fleming: due ragazzi “de Roma Nord”, cresciuti tennisticamente al Circolo dei Magistrati della Corte dei Conti e al Club Parioli, hanno battuto l’Austria e qualificato l’Italia per la semifinale di Coppa Davis.
A me interessa invece che Matteo Berrettini, classe 1996, già finalista a Wimbledon nel 2021, e Flavio Cobolli, 2002, quest’anno trionfatore dell’ATP 500 di Amburgo, oggi a Bologna abbiano raggiunto l’obiettivo nonostante l’assenza del Maestro dei Maestri Jannik Sinner. L’avevo scritto sull’ultimo numero della rivista Il Tennis Italiano, in stampa prima dell’annuncio del suo forfait: “Senza Jannik, un terzo consecutivo trionfo azzurro in Coppa avrebbe il sapore di un’impresa segnata dal talento di Lorenzo Musetti, dall’entusiasmo di Fabio Cobolli o Luciano Darderi”. Dopo Sinner, anche Musetti si è fatto da parte perché sfiancato da una stagione eccezionale chiusa all’ottavo posto del ranking mondiale e il selezionatore Filippo Volandri ha preferito Berrettini e Lorenzo Sonego a Darderi, ma il mio ragionamento ha guadagnato forza, credo, dalla doppia assenza.
Il confronto tra il primo tennista vincente della nouvelle vague italiana e l’austriaco Jurij Rodionov, nato a Norimberga da genitori bielorussi (qualcuno informi della circostanza Bruno Vespa, critico di Sinner e mentore di “Alvarez”), è equilibrato, segnato com’è dalla prevalenza del servizio nell’economia del gioco di entrambi. Divisi nella classifica di fine stagione da 120 posizioni (Matteo è numero 56 ATP), sul campo se la battono ad armi pari. L’ex allievo di Vincenzo Santopadre è stato massacrato dagli infortuni negli ultimi tre anni e non è nella forma dei tempi migliori. Però nei momenti decisivi sfoggia grinta e lucidità straordinarie. Per capirci: secondo parziale, decimo game, quand’è al servizio sotto 4-5, si ritrova sullo 0-40, non si scompone e piazza cinque-spingarde-cinque (copyright Massimo Grilli) che cancellano i tre set point e ci ricordano la ragione per la quale nel circuito l’hanno soprannominato “The Hammer”, il martello. Nel successivo tie break fa quel che deve e chiude i conti sul 6-3 7-6.

Quando tocca a lui, Flavio Cobolli è ancora più convincente. Il suo avversario è Filip Misolic, classe 2021, nato a Graz da genitori croati (come sopra: chi ha dubbi sull’italianità di Sinner veda un po’ come si regolano gli austriaci), e di fatto non riesce a trovare alcuna contromisura al gioco efficiente e senza pause dell’attuale ATP 22 (ma era 17 a fine luglio). Finisce 6-1 6-3 in 66 minuti). Missione compiuta, venerdì l’avversario sarà il Belgio.
L’esordio italiano della nuova Coppa Davis non poteva essere più felice. Merito dello straordinario livello del tennis azzurro e dello spirito di squadra del quale i due romani si sentono depositari. Dice Berrettini: “Io mi trovo bene quando devo dare il mio contributo a un progetto comune. Fin da bambino adoravo le competizioni di gruppo, dalla Coppa delle Province a quella delle Regioni. Mi piaceva tutto moltissimo. Attenzione, non è che Jannik o Lorenzo siano meno attaccati alla maglia azzurra, ma nel mio caso è una dimensione che mi è congeniale”. Cobolli parla in conferenza stampa di “una delle partite più belle della mia carriera perché ho sempre sognato di giocare in Davis davanti a un pubblico fantastico come questo di stasera. E sento il team come fosse la mia famiglia”. Sintetizza capitan Volandri: “È vero, è un piacere essere qui con questi ragazzi. Si aiutano l’un l’altro, si divertono, soffrono e gioiscono insieme”. Sembra di sentire le dichiarazioni di Rivera e Riva nel 1970 o di Cannavaro e Del Piero nel 2006. Era il calcio, allora, a scaldare i cuori: adesso è il tennis.
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