Italtennis, siamo una squadra fortissimi
Uno, due, tre. Malaga 2023, Malaga 2024, Bologna 2025. Siamo una squadra fortissimi. Più di quella del 2006 cantata da Checco Zalone, che forse non avrebbe vinto il Mondiale tedesco senza Del Piero e Totti. Invece gli azzurri del tennis, senza Sinner e Musetti, si prendono la terza Coppa Davis consecutiva.
Attenti, “fortissimi” non significa “dominatori”: nel match decisivo, per i primi tre quarti d’ora Flavio Cobolli non ci capisce nulla, investito dalla gragnuola di colpi precisi e potenti di un maiorchino di Santanyí, trenta chilometri a sud di Manacor, il paesone natale di Nadal. Appare un’iradiddio questo Jaume Munar, detto “Jimbo” per via del piglio combattivo alla Connors, un classe 1997 che mi aveva impressionato talvolta sulla terra rossa ma mi era sempre apparso scarso su qualsiasi altra superficie, dall’erba di Wimbledon al Laykold di resina acrilica, gomma e silice di Flushing Meadows. Oggi, nella seconda partita della finale (la prima l’aveva vinta Matteo Berrettini, quasi in scioltezza), il numero 3 d’Italia e 21 del mondo si ritrova in quattro e quattr’otto sotto per 1-6. Non comincia meglio, al servizio, il secondo parziale: 0-1.
Poi, lentamente, riprende il controllo della situazione, recupera il break e costringe l’avversario, ATP 36, ad affaticarsi e a perdere terreno. Nel dodicesimo game ha quattro occasioni per rimettere in sesto il match, e non riesce ad approfittarne. Nel tie break, però, è più efficace: 7-5. Il terzo set di Cobolli è un’altra salita, con Munar che tiene il proprio servizio fino allo stremo, fino all’undicesimo game, quello del break che chiude di fatto i conti. Incassata la vittoria per 1-6 7-6 7-5, la festa può cominciare.
È un trionfo perfino più significativo dei due precedenti in terra di Spagna: perché davanti al pubblico di casa, anzitutto, e perché dimostra che l’Italtennis non è Sinner-dipendente. Ci sono altri ragazzi tecnicamente e umanamente di grande valore. Lo ripetono costantemente i due romani “de Roma Nord”, Cobolli e Berrettini, i frontrunner di questo successo storico: siamo una squadra, siamo amici, ci aiutiamo l’un l’altro, nei momenti difficili sappiamo di contare su una rete solidale formidabile. Si riferiscono un po’ a tutti: a Sonego, a Bolelli, a Vavassori, ai loro coach personali — Cobolli sr. e Vavassori sr., Santopadre e Bega, tra gli altri — e agli allenatori e preparatori della FITP. Ovviamente, al capitano Filippo Volandri e al presidente Angelo Binaghi, al quale adesso manca un’ultima soddisfazione: “Voglio vedere un italiano alzare la coppa al Foro Italico”, dice. Le donne, con Jasmine Paolini, l’hanno già accontentato.
Oltre a Cobolli, che ha disputato due gare indimenticabili contro il belga Bergs venerdì e contro Munar oggi, il protagonista della gloriosa settimana bolognese è Matteo Berrettini. Tra pochi mesi, in aprile, “The Hammer” compirà trent’anni, che per un professionista della racchetta è un passaggio più stretto di quanto lo sia per i coetanei che vivono d’altro. Reduce da una stagione assai tribolata, vorrebbe arrivarci nelle condizioni psicofisiche esaltate dai plurimi bagni di folla di questi giorni dopo le vittorie sull’austriaco Rodionov, sul belga Collignon e, oggi, sullo spagnolo Carreno Busta: neanche un set perso, una crescita costante, un ritrovato ruolo da punto di riferimento della new wave del tennis italiano.
Se ci riuscisse, aspettiamoci risultati all’altezza dei suoi anni migliori, quando era una presenza stabile tra i Top Ten, accumulava i dieci titoli ATP in singolare, la finale a Wimbledon nel 2021, le semifinali agli US Open nel 2019 e all’Australian Open nel 2022, il quarto di finale al Roland Garros nel 2021. Dipenderà dalla gestione del fisico fragile, da sempre soggetto a infortuni, e dalla fortuna. Sulla qualità del gioco e sull’intelligenza tattica, Berrettini è al livello dei più forti del circuito, esclusi i due giovani fuoriclasse Sinner e Alcaraz e il vecchio Djokovic. Opposto nella partita di apertura della finale a Pablo Carreno Busta, classe 1991, originario di Gijón, Matteo è tatticamente perfetto, ottiene i break quando per l’avversario le possibilità di recuperarli sono minime. Giocatore di grande esperienza, temibile nelle fasi decisive grazie a un tennis metodico e paziente, lo spagnolo deve tuttavia cedere (6-3 6-4) di fronte alla sua straordinaria voglia di vincere.
L’anno prossimo la Final Eight della Davis si giocherà probabilmente nel nuovo palazzo dello sport in costruzione a due passi dalla SuperTennis Arena, che era all’interno di un gigantesco hangar di BolognaFiere. L’Italia, in qualità di paese ospitante, non dovrà affrontare l’ostacolo delle eliminatorie di settembre, dunque sarà sicuramente di nuovo presente tra le Magnifiche Otto di novembre. Lo stesso accadrà nei quattro anni successivi. L’avventura della Davis in azzurro bolognese è soltanto agli inizi. Vedrete che, come per le ATP Finals torinesi, tra un paio di mesi i biglietti dell’edizione 2026 saranno già esauriti.
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