Perché Djokovic ha ormai la testa a Belgrado

Hai voglia a ripetere, come fanno molti, che lo sport deve rimanere fuori dalla politica: l’invocazione forse avrebbe un minimo senso se almeno accadesse il contrario, cosa che non è. E poiché lo sport e la politica s’incrociano sempre, accade che gli sportivi più noti usino l’esperienza e il carisma per ottenere consensi e poi amministrare la cosa pubblica. Sarà questo, secondo me, il destino di Novak Djokovic, forse il campione più intelligente e scaltro anche al di là del perimetro del tennis. Le vicende recenti che lo vedono spesso criticare il governo serbo del quasi autocrate Aleksandar Vu?i? (che traslittererò in “Vukic”) sembrano anticipare una futura contrapposizione personale, dopo una “discesa in campo” nell’accezione berlusconiana.

La storia ha bisogno un breve riassunto. Da mesi in Serbia si susseguono le proteste studentesche e popolari dopo il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad che ha provocato la morte di sedici persone, per lo più giovani. Di fatto, mezza Serbia mette sotto accusa il regime che da oltre dieci anni ha Vukic come leader incontrastato. Dopo il disastro, Djokovic condivide immediatamente le ragioni di chi denuncia la corruzione annidata dietro ogni opera pubblica, indossa una felpa con la scritta “Students are champions”, posta sui social a loro favore e s’esprime polemicamente in eventi pubblici contro Vukic. Nel giro di pochi giorni, i media filogovernativi, che per anni l’avevano osannato, prendono ad attaccarlo. Qualche tabloid di destra lo definisce “un falso patriota”. Dopo essere diventato oggetto di campagne di odio e minacce, il campione e la sua famiglia meditano di trasferirsi definitivamente all’estero (hanno già la residenza a Monte Carlo) dopo gli Us Open, forse in Grecia. Non ci sono conferme al proposito, anche se il trasferimento ad Atene del torneo ATP di Belgrado, di proprietà della famiglia Djokovic, sembra un passo che ne anticipa altri nella stessa direzione. L’ATP ha ufficializzato il trasloco del 250 previsto dal 2 all’8 novembre, che si chiamerà Hellenic Championship.

Secondo alcuni osservatori delle complesse vicende balcaniche, Djokovic si sta così costruendo una base popolare da trasformare in voti. Potrebbe cominciare a operare dalla Grecia, quasi fosse un esule politico. Si ipotizza che possa guidare un movimento conservatore filoeuropeo, sfruttando all’estero l’immagine di tecnocrate illuminato, pur macchiata dalle sue scelte controverse durante la pandemia di Covid.

Com’è inevitabile, il futuro politico di Nole divide la tifoseria serba, che mantiene forti accenti nazionalisti. Oggi, mentre nell’Arthur Ashe Stadium il loro idolo mette in riga il giovane californiano Zachary Svajda, solo pochi serbi urlano il nome di Djokovic e sventolano la bandiera nazionale: due anni fa, all’epoca dell’ultimo dei quattro Us Open vinti, un’enorme folla di rumorosi connazionali inneggiavano a lui e agli amici russi impegnati nell’aggressione all’Ucraina. Ma Novak è abituato a battersi in contesti ostili, che lo esaltano assai più degli applausi. Svajda s’illude di avere qualche chance dopo aver strappato il primo set al tie break, ma Djokovic non si scompone, abbassa la quota di errori non forzati e approfitta dei problemi fisici del rivale, azzoppato da un leggero infortunio. A suon di servizi e colpi chirurgici, ottiene la propria novantaduesima vittoria (6-7 6-3 6-3 6-1) nello slam americano: è frutto di pazienza e convinzione, che sono le qualità di ogni politico di razza, di quelli che atterrano l’avversario facendo credere alla gente che gli stia facendo una cortesia.

Pazienza e convinzione sono le caratteristiche anche di Jasmine Paolini, che nella sessione serale del Louis Armstrong Stadium affronta la diciassettenne americana Iva Iovic – ma i genitori sono serbi – sulla quale si stanno concentrando le speranze della federazione tennistica d’oltreatlantico. Il punteggio finale, 6-3 6-3 a favore della lucchese, non tragga in inganno perché in vari passaggi la campionessa del Foro Italico subisce la grinta della californiana, che sfoggia colpi pesanti e buona visione di gioco. Accade, per esempio, quando Jasmine, alla risposta per chiudere la pratica, si trova avanti 40-0 eppure si lascia raggiungere: solo al quinto match point riesce a prendersi il pass per il terzo turno. Comunque segnatevi il nome di Iva, che sarà una protagonista del circuito negli anni a venire.

Nel tardo pomeriggio impressiona, sul campo 12, la prova di forza iniziale di Luciano Darderi, che non lascia nemmeno le briciole (6-0) a Eliot Spizzirri, 24 anni, ATP 124. Poi però la faccenda si complica perché l’americano del Connecticut, di sicure origini calabresi, trova potenza e misura. Forgiato dagli anni nei durissimi campionati universitari, Spizzirri approda al tie break nel secondo parziale, che lo vede comunque soccombere per 7-3. Darderi perde sicurezza e alza il proprio tasso di errore quel tanto che serve all’avversario per prendere il largo e poi contenere i tentativi di rientro: 2-6. Nel quarto set, equilibrato, si concretizza un’unica chance di break sul 5-4 per Luciano, che la trasforma costringendo Eliot a sbagliare di rovescio. Per la prima volta in carriera, il ragazzo di Villa Gesell approda al terzo turno a Flushing Meadows, dove venerdì troverà Carlos Alcaraz che nella sessione serale di oggi diverte il pubblico del brulicante Arthur Ashe controllando in totale sicurezza il confronto con il bustocco Mattia Bellucci (6-0 6-1 6-3). Per il mancino allenato da Fabio Chiappini, numero 62 al mondo, è comunque un’esperienza emozionante giocare nel centrale dell’USTA Billie Jean King National Tennis Center: quando gli ricapiterà, potrà concentrarsi di più su sé stesso e sul proprio gioco, come peraltro riesce a fare oggi nel terzo set.

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