Perché è giusto che gli scettri americano e mondiale tornino ad Alcaraz
Uno dei miei primi capocronisti, Francesco Jori, diceva che non possiamo piegare i fatti ai nostri desideri o passioni: i fatti si raccontano e basta. Allora scrivo subito che oggi Carlos Alcaraz è risultato, per lunghi tratti, ingiocabile per Jannik Sinner e dunque ha meritato di strappare all’arci-avversario il titolo degli Us Open e la testa del ranking mondiale. Non era andata così in giugno a Parigi, dove l’italiano e lo spagnolo s’erano battuti ad armi pari per cinque ore e mezza, né a Wimbledon in luglio, quando la prevalenza di Sinner era apparsa netta. A Flushing Meadows abbiamo visto per quindici giorni, finale compresa, il miglior Carlitos di sempre mentre Jannik, pur dominando i suoi match, non è mai apparso al cento per cento della forma: condizione necessaria, dato il suo tennis dinamico, per essere, a propria volta, ingiocabile.
I 35 minuti di ritardo causati da Trump
Il match comincia con 35 minuti di ritardo perché Donald Trump, che vorrebbe regnare sull’America, non sa che i regnanti veri, come i britannici, non hanno mai fatto rinviare di un secondo il via alle finali dei Championships. Questione di stile. Poi, chi ha in tasca (o sullo smartphone) il biglietto dell’Arthur Ashe Stadium e chi guarda il match sugli schermi in ogni angolo del mondo può tranquillamente dimenticarsi del presidente che da 230 giorni monopolizza con editti, insulti, ricatti e bizze l’interesse dell’opinione pubblica mondiale.
Primi set dominato da Alcaraz
Saranno 162 minuti detrumpizzati. Il primo set è un assolo di Alcaraz, che non sbaglia niente. Il secondo parziale vede Sinner riprendere poco per volta campo e sicurezza fino a ottenere il break, che poi difende con successo. Nel terzo parziale il murciano ritorna a maramaldeggiare, servendo implacabilmente e approfittando, altrettanto implacabilmente, delle incertezze del sudtirolese quand’è lui a servire. Nell’ultima frazione è di nuovo Carlitos a accelerare: il break del quinto game piega le gambe a Sinner, che non riesce a recuperare. Sapete già il punteggio che premia l’allievo di Juan Carlos Ferrero con il sesto titolo major in carriera: 6-2 3-6 6-1 6-4.

La saga è destinata a continuare
La saga è destinata a continuare, dopo otto slam consecutivi che vedono l’uno o l’altro vincitori e dopo la terza finale, sempre consecutiva, della quale sono gli unici protagonisti. Ieri una signora che stava raccontando a tutti d’essere tornata, grazie a Jannik, “su un campo, dopo vent’anni, con la racchetta, le palline e tanta passione”, mi ha chiesto a bruciapelo: cosa cambia nel bilancio della stagione se domani vince Alcaraz? La mia risposta rimane la stessa anche dopo la finale. Il confronto è anzitutto condizionato dalla forzata assenza di The Fox da febbraio a maggio, con quattro ATP 1000 e due 500 saltati e la necessità poi di ritrovare i ritmi agonistici. Da questo angolo d’osservazione, il nuovo numero 1 ATP è comunque in vantaggio in virtù dei Masters 1000 conquistati a Monte Carlo, battendo Lorenzo Musetti, e poi a Roma e Cincinnati ai danni di Jannik. Se basato invece sugli slam, il testa-a-testa replica la perfetta spartizione del 2024, con lo scambio di titoli tra i due: a Sinner i Championships, ad Alcaraz gli Us Open.
Un duopolio demoralizzante per gli altri
Più in generale – al pari di un collega americano di grande esperienza, Christopher Clarey, che da un po’ usa il termine “duopoly” per definire lo stato dell’arte del circuito – ritengo che i risultati di questi otto mesi e rotti abbiano definitivamente evidenziato la mediocrità dei competitor, Djokovic escluso, ovviamente. Il dominio assoluto di Sinner e Alcaraz “è stato demoralizzante per le figure dell’establishment, come Daniil Medvedev, Alexander Zverev, Stefanos Tsitsipas, che si aspettavano che il loro turno arrivasse dopo i Big Three”, scrive Clarey. La generazione di mezzo è stata insomma spazzata via, mentre per ora i giovani più ambiziosi, da Holger Rune a Lorenzo Musetti, da Joao Fonseca a Jakub Mentsik, da Ben Shelton a Jack Draper, sembrano comprimari capaci soltanto di singole imprese. Conclude Clarey: “Jannik e Carlos sono il pacchetto completo, impongono un ritmo forsennato che il gruppo, per ora, non riesce a seguire. Hanno ciascuno una marcia in più che solo l’altro può eguagliare”. Sottoscrivo.
Basta che il numero 2 non duri troppo…
Non so se la signora in questione abbia o no apprezzato la mia risposta. Temo s’aspettasse che le rassicurassi dicendole: “…non c’è alcun dubbio, cara, nel contesto problematico del 2025 Sinner resta il più forte”. In lei ho intuìto la stessa irrazionale partigianeria che fa sì che un mio caro amico, professionista stimatissimo, massacri di post infamanti una commentatrice tv eccellente come Barbara Rossi, “perché dá sempre contro Sinner, maledetta lei!”. La sua è la medesima assenza di equilibrio nei giudizi che ispira un’altra mia conoscenza quando ieri posta su WhatsApp: “Li fanno giocare alle due del pomeriggio perché sanno che il nostro soffre il caldo” (peccato che a New York si stia freschi, meno di 20 gradi). Forse, più che a Sinner, trascorrere qualche tempo come numero 2 del ranking ATP farà bene ai sinneriani. Basta che non duri troppo, ché altrimenti diventiamo tutti un po’ più tristi.
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