Guzzanti, pensione d’oro e colletta degli amici: “Aiuto, ho solo 14 euro”

«Possibile?», si chiedono in tanti. Sarà vera questa storia di Paolo Guzzanti indigente, rimasto con 14 euro sul conto corrente, e perciò costretto a chiedere aiuto agli amici? È il primo aprile. E Guzzanti imitava Pertini («nevvero»), imitava Scalfari, si è fatto beffe di mezza Prima Repubblica. Non sarà una delle sue mattane? «Scherzi?», fa Guzzanti, quando lo chiamiamo. «È tutto vero. L’altro giorno ho mandato un messaggio anche a Sara Manfuso, lei è molto mia amica». Telefoniamo a Manfuso, opinionista televisiva, come si definisce su Instagram (40mila follower). «Guarda che ho ricevuto il suo messaggio giovedì scorso. Recitava: “La misura dell’aiuto che vi chiedo è libera, piccola e a piacere. Mi si sono ingorgate le spese mediche per quattro interventi in un anno non coperte da assicurazione e una valanga di tasse che, per quanto previste, mi hanno lasciato letteralmente a terra con soli 14 euro in contanti”. Ti va di parlarne in pubblico?” gli ho proposto. Sabato ci siamo visti per l’intervista, l’ho sbobinata nel weekend, e ieri me l’ha pubblicata La Notizia col titolo “Sono rimasto con 14 euro. Se sei malato curarsi ha pesanti risvolti economici”».

Paolo Guzzanti ha 84 anni. Firma di Repubblica, La Stampa, Il Giornale, ora del Riformista. Molte vite, altrettante maschere. Da giovane era socialista, poi ha fatto il parlamentare del Pdl, iper berlusconiano, piazzato dal Cavaliere nel dicembre del 2001 inquisitore capo della più controversa delle Commissioni d’inchiesta, la Mitrokhin: Prodi querelò, l’allora segretario dei Ds Piero Fassino denunciò: «La destra così vuole colpire la democrazia». Successivamente Guzzanti è stato anche anti berlusconiano. Un certo senso di sé: a 55 anni aveva già pubblicato la sua biografia, I giorni contati.

Rimbalzata sulle agenzie e sui siti la notizia dei 14 euro è diventata inevitabilmente virale. Il suo sfogo contiene molti ingredienti italiani. La denuncia sulle tasse eccessive (è rimasto impigliato in un intricatissimo debito fiscale), la malattia (ha subito quattro costosissime operazioni in un anno), l’esosità del suo secondo divorzio. Guzzanti ha sei figli. Tre sono famosissimi attori: Corrado, Sabina, Caterina.

Ma come si può finire con 14 euro sul conto corrente con due pensioni?

«Tra quella da giornalista e quella da parlamentare prendo 8mila euro».

Otto mila?

«Eh, sì, sarei benestante».

E in quanti hanno risposto all’appello?

«Ho già ricevuto 5mila euro, una mano me l’ha data anche mio figlio Corrado, a tutti ho spiegato che restituirò il prestito a giugno, quando prendo la quattordicesima, ma loro dicono: no, no, non vogliamo niente. È un regalo».

Telefonata a un ex firma di questo giornale.

È vero che l’ha aiutato?

«Sì, ho contribuito subito. È un vecchio amico. Purtroppo si è incasinato la vita, tanto che è ancora costretto a lavorare».

«Eh, non sono molto fiero di quello che ho fatto, è una dimostrazione di sventura», ammette Guzzanti.

Negli anni Ottanta era una griffe del nostro giornalismo. È sua la memorabile intervista a Franco Evangelisti, il luogotenente di Andreotti, (A Fra’, che te serve?). Faceva quelli che allora si chiamavano pezzi di scrittura. Ogni estate Scalfari lo mandava a raccontare l’Italia vacanziera. Poi s’inventò il fenomeno Cossiga. Il picconatore. La Stampa gli chiese di seguire il presidente della Repubblica che inaugurava un tribunale a Gela, lui non voleva andarci, poi anche lì Cossiga straparlò, e Guzzanti ne fece un genere: ogni giorno i loro colloqui finivano sul giornale.

Eccessivo, anche nell’amare la vita tutte le sue pieghe, uno che «racconta storie belle e divertenti che non si sa mai come vanno a finire», così lo descrisse una volta un suo amico, ha sempre parlato volentieri di sé. Rivelava delle sedute dagli analisti quando non era uso farlo. È lo spadaccino che incrocia la spada, litiga, fino all’insulto, ma poi pretende di fare la pace. Tutto in fondo è teatrale in lui. Come quest’ultima recita.

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