Il ritorno dei pacifisti, in 200mila per la marcia Perugia-Assisi: “Guerre non inevitabili”

PERUGIA – «Non ti fare gli affari tuoi finché la pace non verrà», recita un cartello quasi al principio del corteo. Ci vogliono gambe, polmoni e cuore per camminare senza sosta sotto al sole i ventiquattro chilometri della marcia Perugia-Assisi. E una ferma convinzione: che la pace si fa pure da qui, con corpi e voce.

Quando la testa del corteo raggiunge la Rocca di Assisi, la coda dei 200mila è 14 chilometri più giù. Mai così tanta gente dal 2001, forse di più. Allora c’era appena stato l’attacco degli Stati Uniti in Afghanistan dopo l’attentato alle Torri gemelle, si veniva dal G8 di Genova, quello di «un altro mondo possibile». Ora quest’ennesima piazza di pace, come tutte quelle dal 22 settembre in poi, grida che «c’è un altro orizzonte possibile. La guerra non è inevitabile, non lo sono la corsa al riarmo, le disuguaglianze. Vogliamo reagire, con un nuovo sogno di fraternità», spiegano gli organizzatori.

Utopia? «No, progetto». E così, anche il campo largo del centrosinistra, ventiquattro anni fa fischiato in piazza dal movimento (allora c’era l’Ulivo), si riaffaccia in marcia. «Una straordinaria partecipazione — dice Elly Schlein abbracciata dalla folla — L’Italia ripudia la guerra. Ora serve il riconoscimento dello Stato palestinese e una pace giusta per altri 50 conflitti nel mondo». Applauditissimo il presidente dei Cinque stelle Giuseppe Conte: «La bandiera blu dell’Europa si è tinta di verde miliatre. Il governo programma nel triennio spese militari per oltre 20 miliardi mentre famiglie e imprese in Italia se la passano malissimo». Un messaggio all’esecutivo anche da Avs: «Quando le piazze si riempiono, vuol dire che a perdere è la rassegnazione», dice Nicola Fratoianni. Angelo Bonelli guarda il serpentone e ricorda a Meloni: «Ha definito i manifestanti “amici di Hamas”, vergogna». In prima fila c’è anche Francesca Albanese, relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati.

Non c’è tensione qui, non c’è provocazione. Chi va scalzo, chi suona, chi cammina in silenzio, padri che spiegano ai figli la Resistenza, donne che ragionano di riarmo. «Il movimento pacifista è tornato», grida qualcuno a metà corteo. «Siamo antimilitaristi, non è una parolaccia, per noi la pace si fa senza armi, con la giustizia», dice Roberta Colombo da Cinisello Balsamo, dopo 25 anni di nuovo alla marcia. Ma non si pensi sia roba da vecchi arnesi. Ci sono centinaia di bambini, diecimila studenti, sventola il Jolly roger di One piece, simbolo di libertà per la Gen Z in tutto il mondo.

Sarah ha 23 anni, la kefiah in testa, studia biologia a Padova: «Marciamo affinché il diritto internazionale non sia solo un modo di dire». Tra decine di gruppi scout, ci sono i giovani di Civitanova: «Da qui arriva la speranza. Il nostro motto è “servire”: siamo chiamati a essere cittadini del mondo, costruttori di pace, per la società del domani».

Nonostante la tregua, Gaza scalda il cuore. Un signore, Francesco Trevisani, regge un cartello che dice che Trump sta alla pace come l’ananas alla pizza: «Se lasciamo che il suo linguaggio fatto di violenza, sopraffazione, ricatto diventi il linguaggio della pace non otterremo mai nulla di duraturo e di equo per le popolazioni umiliate». Le bandiere palestinesi sono poco meno delle arcobaleno, qualcuna annodata a quella d’Israele. Ma la marcia risponde pure a chi insinua “e l’Ucraina? E il Sudan?”. Nessuno si è dimenticato. Vanni, da Bergamo, cattolico, ha una bandiera gialla e blu: «Non scordiamo l’aggressione in Ucraina, c’è bisogno di dare un confronto ancora maggiore adesso». Snizhana Shaluhin viene da Kherson: «Questa marcia forse non fermerà le bombe ma è una voce che dobbiamo alzare con forza: noi civili abbiamo il diritto di vivere in pace». Monicah Malith è una rifugiata dal Sud Sudan: «Siamo la differenza che farà la differenza nel mondo».

Alle 11, quando la marcia sfiora la Tiberina, chi è in auto e chi trasporta pomodori con i tir suona il clacson, si sporge dal finestrino, fa il pugno chiuso per solidarietà. Battono le mani i tricolori di 252 comuni, 500 associazioni, Cgil e Cisl. Arriva pure la benedizione del Papa. «Ci siamo rimessi in moto davanti all’impotenza dei governi, responsabili di non agire per fermare le guerre, impauriti da chi dissente», spiega Angelo Maio, da Benevento, mentre raggiunge la Rocca di Assisi. Dopo sei ore di cammino c’è la meta. Passa il gonfalone dell’Anpi: «Se non è resistenza questa…un atto di resistenza alle crudeltà del mondo».

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