“L’Italia riconosca la Palestina”. Centrosinistra unito per Gaza davanti a una piazza stracolma
Il colpo d’occhio è impressionante. Evoca anni lontani, ben altri tempi e altri comizi, quando il leader della sinistra era uno solo e da solo riempiva ogni anfratto di piazza San Giovanni, la piazza storica dell’opposizione allora guidata da Enrico Berlinguer.
Icona di un mondo che si credeva perduto, diviso, rassegnato alla sconfitta, e invece ecco: alle tre del primo sabato di giugno che sembra agosto, sotto un sole giaguaro che fa sudare e imprecare, quel popolo si è come per incanto ritrovato laddove tutto è cominciato: per urlare «fermate i massacri a Gaza» certo, ma soprattutto «unità», «unità», ancora «unità». Il grido scandito a mo’ di supplica lungo il corteo e sotto al palco, per dire ai quattro capitani del campo progressista — Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli — «fatelo davvero stavolta per favore», mentre la marea umana che invade la spianata prospiciente la basilica resta incastrata nelle vie d’intorno, impossibilitata a entrare tanta gente c’è. Volti noti e vecchie glorie della politica come La Malfa, Bindi e Bersani: la pattuglia di piddini riformisti — Sensi, Verini, Guerini — che il giorno prima erano da Renzi e Calenda a Milano e oggi qui, confusi nella moltitudine di cittadini comuni.
Schlein: “Questa piazza è per Gaza, Meloni la ascolti. Basta silenzio complice del governo”
«Siamo trecentomila» annuncia Valentina Petrini al microfono quando la manifestazione indetta per condannare i crimini del governo israeliano e chiedere a quello italiano di non essere più «complice» e riconoscere finalmente lo Stato di Palestina, è appena a metà. Nessuno si aspettava una cosa così. Cinquantamila era stata la previsione della vigilia, numeri bassi, forse per scaramanzia. È la prima volta che accade dacché Giorgia Meloni ha varcato il portone di Palazzo Chigi. La prima vera piazza della sinistra unita — Pd, M5S e Avs — in attesa del centro che, è convinzione di molti, pure verrà. Un messaggio forte e potente: dopo stasera, difficilmente la presidente del Consiglio potrà far finta di niente. Chiamarlo «avviso di sfratto», come qualcuno tra la folla azzarda, è forse eccessivo. Ma di sicuro è un alert che qualcosa sta succedendo nel ventre del Paese, si muove, cresce come l’onda di bandiere e cori e speranze che ha invaso piazza San Giovanni.
Se ne accorgono subito i segretari chiamati a concludere la maratona oratoria nutrita di opinionisti palestinesi (Rula Jebreal), attivisti anti-Hamas e obiettori di coscienza ebrei. Tutti concordi, pur con qualche sfumatura sulla definizione degli eccidi a Gaza — «È genocidio» stabiliscono Conte, Fratoianni e Bonelli, termine che invece Schlein non userà mai — nel respingere le accuse di antisemitismo («Nel nostro dna c’è sempre stata la lotta a ogni forma di razzismo», protesta Bonelli) e soprattutto la critica al governo «codardo» di Meloni, che non fa nulla per spegnere l’incendio in Terra Santa. «Deve uscire dal silenzio complice», attacca la leader del Pd. «Faccia atti concreti, non rinnovando il memorandum di collaborazione militare con Israele che, con la sua pulizia etnica, sta violando il diritto internazionale umanitario», incalza Schlein. «Noi non ci sentiamo rappresentati da un governo che volta la faccia dall’altra parte. Mi rivolgo a Meloni: ascolta questa piazza. Questa è la piazza che non tace, che lancia un messaggio chiaro. È l’altra Italia». Lo urla forte anche Giuseppe Conte: «Bombe su case, scuole, ospedali. Tutto questo come lo chiamiamo? Genocidio», sillaba il capo del M5S. «Oggi qualche ministro ha iniziato a balbettare, a dire “60 mila morti sono troppi”. Che ipocrisia, che vergogna! Perché 30mila o 50 mila erano accettabili? Dovevamo aspettare 16 mila bambini trucidati?», si accalora, additando la recente missione di Matteo Salvini in Israele. «Questo è un governo che stringe le mani insanguinate di Netanyahu». È però Fratoianni a tirare le somme, dire che quel che tutti pensano ma non osano: «Questa manifestazione dice che possiamo cambiare il Paese e poi le sorti di un mondo terribile. Noi tutti insieme, uniti, da oggi ancora di più. Ci rivedremo presto», augurio che sa, finalmente, di promessa solenne.
È finita. Sul palco si canta Bella ciao, accompagnata dalla tromba di Paolo Fresu. I quattro moschettieri della sinistra si avvicinano insieme al microfono: «Tutti a votare» strillano. Ai referendum, è sottinteso. Schlein ha la felicità scolpita in volto: «È stata un’emozione grandissima, una risposta straordinaria, era tanto che non vedevamo una piazza così». E pure Conte forse si è convinto che entrare in campo è meglio che restare fuori: «Ci fa piacere esserci ritrovati su questa battaglia», si lascia andare a sera, «a riprova che sono gli obiettivi comuni e i progetti concreti a creare un’idea alternativa di Paese. Meloni la si manda a casa solo così». Il popolo di San Giovanni ora ci crede.
Condividi questo contenuto: